Un album di canzoni scritte con passione e padronanza dei propri mezzi che mette in mostra una vena creativa viva e feconda
Nell’epoca in cui le cose sembrano durare sempre troppo per catturare la nostra attenzione, un’offerta musicale potenzialmente infinita ci rende più frenetici e probabilmente meno famelici, e i dischi paiono appartenere a un’epoca passata, andare controcorrente è un atto di coraggio.
Tre anni dopo “Amur”, gli Intercity pubblicano un album-fiume lungo 22 episodi, a dimostrazione che la vena creativa dei fratelli Campetti e dei loro soci è viva e feconda e ha bisogno di essere assecondata.
“Laguna”, inevitabilmente, è un disco in cui convivono influenze diverse che ne accrescono l’appeal, ma che esprime uno stile preciso e un songwriting riconoscibile; soprattutto, è un album di canzoni vere, scritte con passione e padronanza dei propri mezzi. Un percorso che dall’alt-rock si nutre di suggestioni pop e scopre il fascino dell’elettronica e che riesce a produrre almeno due brani, “Veracruz” e “Le piante di canapa”, perfettamente in grado di spopolare nelle radio.
La forza è soprattutto nei ritornelli sinceri e diretti che lasciano un segno nella memoria, come succede in “Ufos” o in “Scatto fisso”, forse uno dei pezzi dalla maggiore immediatezza. Se alcuni passaggi hanno un’intrinseca forza esplosiva (“Notturno”, “Zenith”), altri trovano il loro equilibrio nei sentimenti e nella malinconia (“Limbo”, “Periferie”), nelle sovrapposizioni di stili (“L’Apollo”), nel pop raffinato (“Per un pochino di spazio”) o nelle contaminazioni elettroniche (“Joshua”, “R.A.T.M”).
Elementi diversi che fanno di “Laguna” un lavoro completo: se il rischio è che la forza espressiva si diluisca nella lunghezza dell’opera, la risposta è in 22 storie diverse che hanno bisogno di essere raccontate.
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La recensione Laguna di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-09-03 00:00:00
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