Avete mai usato la parola "Moloch" per indicare qualcosa di estremamente ingombrante e di difficile collocazione? Ecco non so voi ma al sottoscritto capita spesso e quando mi sono messo ad ascoltare "ll Vangelo di Moloch" di Gianni Venturi & Lucien Moreau questo ricordo linguistico è immediatamente emerso. Già perché l'album in questione è davvero quello che si potrebbe definire "un Moloch sonorizzato", visti i molteplici strati e chiavi di lettura che esso reca con sé. Il problema, diciamo così, non è tanto questo, ovvero il fatto che ci sono tanti piani da dover esplorare per poterlo comprendere fino in fondo, quanto il fatto che "il prezzo da pagare" per entrare nel mondo di Venturi e Moreau è altissimo: cioè bisogna armarsi di infinita pazienza e scivolare dietro ad evidenti barocchismi che non fanno altro che appesantire il tutto, piuttosto che a renderlo in qualche modo speciale.
Ed è un peccato perché, come abbiamo detto prima, ci sono intuizioni e spunti anche molto interessanti, come quelle presentate in "Dinosauria", il secondo pezzo, che convince anche e soprattutto a livello musicale, con quegli intarsi jazz che lo rendono, rispetto agli altri, un po' più alato e gassoso. Infatti il problema generale di questo "Il vangelo di Moloch" è proprio la mancanza di una dimensione aerea, che aiuti il disco ad alzarsi in volo e sfuggire dalla terra paludosa che invece lo fa arrancare al suolo (leggasi troppi contenuti, troppi rimandi, troppe influenze mal governate). Un peccato perché di fare un viaggio a volo d'uccello con qualcuno che ha cultura da vendere ne avevamo proprio voglia.
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