“Sputnik” è un paradosso, un bel paradosso. L’ultimo album di Luca Carboni, che arriva a poco meno di tre anni dal successo di “Pop-up”, è un trionfo di sonorità che rimandano agli anni ‘80, secondo quella che è la tendenza del pop italiano di questi tempi. Il paradosso è chiaro, perché in questo caso non si parla di artisti o band che si rifanno a un’altra epoca, ma di un musicista che di quell’epoca è stato grande protagonista. Per questo, da un lato Carboni ha forse ancora più diritto degli altri di prendere parte a questo ritorno al futuro, dall’altro si percepisce quanto si stia divertendo.
“Sputnik” è un album leggero, che scorre con grande facilità: un disco pop intelligente e di livello, con una tracklist di sole nove canzoni che rinuncia a qualsiasi idea di riempitivo. Il ritorno agli anni ‘80 è nella musica, ma Carboni pensa al suo “Sputnik” come a un viaggio lungo la cultura pop della seconda metà del ‘900, quella caratterizzata dalla guerra fredda, in cui Berlino era un simbolo di divisione e dove “le estati non finivano mai”. La citazione è tratta da “I film d’amore”, forse il brano migliore dell’album: Carboni lo firma con Alessandro Raina con cui torna a lavorare dopo “Bologna è una regola” e con cui collabora in altri due pezzi di “Sputnik”. Un incontro che funziona per entrambi: la condivisione di immaginario è evidente, al punto che “I film d’amore” sembra la canzone che avrebbero potuto fare oggi gli Amor Fou se non si fossero sciolti (troppo presto, viene da aggiungere).
La collaborazione con artisti più giovani è una delle caratteristiche dell’album: oltre a Raina ci sono Calcutta (“Io non voglio”), Gazzelle (“L’alba”) e Giorgio Poi (“Prima di partire”). Ognuno porta in dote il proprio stile, ma l’abilità di Carboni è tutta nel creare un mondo sonoro omogeneo e senza sbalzi, grazie anche a una voce che è marchio di fabbrica. “L’alba” è forse il pezzo più chiaramente carboniano, con un ritornello quasi da ballata che si fa notare in un album profondamente sintetico. L’altro picco di “Sputnik” è senza dubbio “Prima di partire”, quasi una “Mare mare” che proviene da una dimensione parallela, che anticipa l’unico pezzo firmato dal solo Carboni. È “Sputnik”, una sorta di preghiera laica che chiude l’album con sonorità aperte e senza ritmiche, una dichiarazione di felicità e amore assoluto che si contrappone per suoni e testi a tutto quanto ascoltato fino a quel momento.
Se “Pop-up” aveva restituito Luca Carboni alla prima fila del pop italiano di oggi, “Sputnik” gli fa compiere un ulteriore passo avanti: un disco contemporaneo, pieno di potenziali singoli, che trova il perfetto punto d’incontro tra esperienza e freschezza.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.