Hijacked to Fogville trascina ben lontano da quella città della nebbia che annuncia come destinazione; le coordinate del disco, infatti, sono tutt'altro che invernali o crepuscolari e suggeriscono che, probabilmente, ad essere dirottate non sono le orecchie dell'ascoltatore, bensì le canzoni stesse, raccolte in un contesto decisamente americano e trasferite nella bassa emiliana, zona da cui proviene il gruppo. In poche parole, si tratta di rock, senza grandi fronzoli: rock classico, dotato di un incedere energico che in nessun istante si piega su se stesso e che incrocia a tratti le strade dei Lynyrd Skynyrd, per poi caratterizzarsi di venature blues.
Le cinque tracce si susseguono senza sbalzi, con un suono molto omogeneo, basato sulla canonica formazione chitarra, basso, batteria. Risulterebbe insensato, in questo prospettiva, chiedere ai Rufus Party qualcosa di avanguardistico: il gruppo sceglie di portare in giro la bandiera di un certo tipo di rock, che rimanda chiaramente ad atmosfere a cavallo tra '60 e '70, riuscendo in pieno nel proprio obiettivo. L'assenza di incertezze e la completezza dei brani lasciano intravedere la compattezza del gruppo, probabilmente in grado di rendere al meglio in situazioni live, dove brani di questo tipo acquistano un particolare valore aggiunto dato dall'immediatezza con cui arrivano all'ascoltatore. Anche su disco, ad ogni modo, l'alchimia funziona e i Rufus Party realizzano un buon lavoro, che ha il proprio merito principale nella già citata omogeneità, termine che rimanda sia ad una notevole coerenza musicale, sia ad un livello qualitativo che si mantiene costantemente alto.
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