Afterhours
Ballate Per Piccole Iene 2005 - Rock, Noise

Ballate Per Piccole Iene

Dopo quasi tre anni dall'ultimo album e un paio di esperienze live recenti non proprio esaltanti, il nuovo singolo degli Afterhours mi aveva lasciato perplessa, forse solo per tutta una serie di aspettative personali che “Ballata per la mia piccola iena” ha lasciato deluse. Per fortuna ho deciso di dare un'altra chanche a ManuelAgnelli&soci e mi son procurata il cd intero...

“Ballate per piccole iene” è un bel disco, però fa male. Dieci pezzi ipnotici, più cattivi che arrabbiati, difficile seguirli e apprezzarli al primo ascolto (tanto che viene il dubbio, come diavolo hanno fatto a piazzarsi così in alto in classifica?) e altrettanto difficile levarseli di testa una volta entrati. Fa male non tanto perché uno attenda un bis -impossibile- di lavori precedenti, ma perché si chiede da tempo dove ci porteranno gli After questa volta, in che razza di viaggio e sotto che cielo ci costringeranno a seguirli, e scopre che è una strada senza uscita in cui l'auto si pianta metro dopo metro nell'asfalto. “Sai la verità: siamo vivi per usarci”, il primo verso cantato suona quasi come un “lasciate ogni speranza” dantesco, è questo inferno il mondo con cui dobbiamo fare i conti, e più di una canzone fa da contraltare a quello che era “Non è per sempre”. L'atmosfera generale è cupa e tesa e, se alcune tracce danno l’impressione di essere “un po’ troppo lente”, è solo il ritmo della ballata che inchioda a terra e non lascia vie di fuga. Da qualche parte ho letto che è stato registrato quasi in presa diretta; in effetti si coglie la vocazione live di molti brani. I riff, come da tradizione, sono taglienti, gli arrangiamenti scarni ma azzeccati. La voce passa rapidamente dall’urlo al sussurro su testi che sono piccoli quadri di disillusione e raccontano personaggi diversi accomunati dalla perdita di innocenza, ideali, affetti, fino al grido - per niente liberatorio - di “Il sangue di Giuda”, c’è solo sangue, solo sangue e non va via (e se uno ha letto “La gloria” di Berto o ricorda un certo monologo di Gaber, se lo vede nelle mani, quel sangue, e si sente soffocare). Forse la cosa di cui più si avverte la mancanza è la buona dose di ironia a cui il gruppo ci aveva abituato, e la sensazione principale, una volta chiuso lo stereo e rimasti soli nella propria stanza, è l’amaro in bocca, l’assoluta impossibilità di consolazione e di riscatto. Pochi i passi carezzevoli, “Ci sono molti modi” è disperata come un annegamento, “Male in polvere” e “Il compleanno di Andrea” compensano la dolcezza della melodia con testi che ricordano che da brave piccole iene si può tirare avanti (lo facciamo tutti, in continuazione), si può sopravvivere, ma vivere è un’altra cosa.

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