Quello che vi presentiamo oggi è “l’inutile occorrente” di un cantautore che sceglie una forma canzone orecchiabile e immediata per raccontare storie. Spazi aperti abitati da strutture musicali poco pesanti, in cui riflettere su sè stessi senza amarezza ma con malinconica e beffarda rassegnazione, accompagnano le tracce del disco. La matrice riporta al cantautorato italiano più tradizionale, sviluppandolo in chiave pop all’interno di alcune canzoni; semplice per affacciarsi ad un pubblico di nostalgici appassionati di De Gregori ma che potrebbero amare anche Renga. Le trame sono acustiche e a volte si fanno leggermente più corpose a irrobustire la vena sognante e melodica che percorre tutto il disco. La sequenza degli otto brani si cimenta con il concetto di musica confortante, consolante ma non sorprendente.
“Com’è bella la neve” colpisce ad effetto: è una ballata, solo pianoforte, che cresce in coda lasciando spazio ad uno sviluppo corale dei singoli strumenti per farci immergere nel bianco immobile della neve che ricopre dolcemente paure e angosce. Ci sono attimi s-fuggenti, destini che non danno scampo, e biglietti verso destinazioni alla ricerca di un senso per ognuno di noi (“Biglietto a memoria”). “E’ pericoloso” a volte guardarsi dentro, aprirsi al mondo, accarezzare sogni, ma diventa necessario per riprendersi la vita che vogliamo: un pezzo dal sound potente e viscerale in cui spensieratezza e malinconia si fondono insieme proprio come in “Disicanto”. Un viaggio nell’inadeguatezza verso il mondo, i propri timori, gli amori perduti conduce al raggiungimento della propria serenità nel presente, liberandosi dai fantasmi del passato e le angosce del futuro (“Noi come due”, “Uguale e differente”, “Il filo di vento”).
“L’inutile occorrente” è un disco piacevole, non inutile, di genere. Ascoltiamolo.
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