Prima il singolo, uscito, non a caso, lo scorso 4 luglio, con “Iowa” e “Wisconsin”. Senza dimenticare che “Ahilui”, l’esordio sulla lunga distanza del 2013, conteneva un pezzo dal titolo “Kentucky”. Sintomi destinati a sospettare che Nicola Setti stia cercando di proporsi come un Sufjan Stevens de noartri, che l'epopea del grande romanzo (nord) americano abbia trovato terreno fertile anche dalle sue parti, dalle parti di Modena.
No, niente di tutto questo. O forse sì. Se il (folle) progetto del cantautore di Detroit è quello di comporre un disco per ogni singolo stato dal suo Paese, Setti poggia la propria poetica su di una sorta di geografia interiore, salgariana, non mancando di intersecarla a un romanzo generazionale tascabile. Un racconto apparentemente sconclusionato, senz’altro bizzarro, a volte triste, altre decisamente gioioso. Tra la cui pagine nascono amori già finiti prima di cominciare, si disquisisce su miseri avanzi di pranzo, si organizzano barbecue come scusa per fare tabula rasa di brutti ricordi. Poi ci sono i concerti, quelli che possono segnarti la vita al netto di una imprevista coda in autostrada, gli album con le foto delle ex (chissà quale allegria…), John Grant da cantare dall'alto di uno scoglio, i ricordi, la malinconia, il cuore di legno. Nicola Setti si esprime attraverso un linguaggio sottile, sorprendente, ricco di sfumature, di ironia, di metafore. “Le persone diventano tempo”, recita “Bestia”, e qui siamo nel campo della più pura delle disillusioni, “Si costruiscono più storie che bidet " può solo fulminarti e null’altro, ma con “Extraterrestri che ricordano tuo nonno” ci spostiamo nella visionarietà più pura, e frasi come “Mi mancavi, mi lanciavi i coltelli e mi mancavi” spiazzano come una mazzata in fronte.
Nicola Setti illustra il proprio universo con dei rapidissimi flash. A parte “Woods”, che non va al di là dei 3’17’’, le altre nove canzoni di “Arto” non superano quasi mai i 2’30’’, alcune durano poco più di un minuto, persino i titoli sono quasi tutti composti da una sola parola. Stringatezza assoluta. Eppure, in pochi istanti, il musicista modenese, con l'aiuto di una voce monocorde ma al tempo stesso risoluta, riesce a infilare di tutto. Dall’indie-rock dei ’90 al indie-pop degli anni ’10, dal cantautorato sghembo ai muscoli di “Iowa”, passando per la scheletrica (e cupa) “Orizzonte”. E se “Presente” fosse stata suonata con un pizzico di cattiveria in più, allora un paragone con il punk dei primi CCCP Fedeli alla Linea non sarebbe stato per nulla irragionevole. Roba grossa, insomma, importante, surreale e a suo modo geniale.
La produzione di “Arto” è stata curata da Luca Mazzieri dei A Classic Education, a suonare le canzoni allineate nel disco figurano anche alcuni componenti dei Baseball Gregg e degli Smash, Valentina Gallini degli Avocadoz presta la voce in un paio di brani. Setti spiega che il suo è un album solista messo assieme da un lavoro di gruppo. Un’intesa appagante, soprattutto per chi ascolta, che riconcilia con quell'universo salgariano nel quale ognuno di noi dovrebbe immergersi per un solo attimo, almeno una volta nella vita.
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