È il 7 aprile 2016 e sto uscendo dalla sala concerti del The Waiting Room di Londra con sette sterline in meno e un disco meraviglioso tra le mani: “Silently. Quietly. Going Away.”, l’esordio di Any Other e del suo indie-rock così scarno, straziante, immediato. Un paio d’anni dopo quel concerto londinese, “Two, Geography”, l’atteso secondo album pubblicato per 42 Records, mi fa in qualche modo lo stesso effetto del ritorno di King Krule con “The Ooz”, dove l’urgenza, la rabbia, i ritornelli, i pugni nello stomaco lasciano il posto ad arrangiamenti eterogenei, melodie complesse e bellissime, il sassofono e le scappate jazzy.
Addentrarsi nei confini di “Two, Geography” è un piacere raro: è come se Adele avesse trovato la formula per tenere in equilibrio le esperienze vissute fino a questo momento (Lovecats, Halfalib, il tour con Colapesce, tra le altre), quasi a voler controbilanciare la crudezza del lavoro precedente. “Walkthrough”, primo singolo estratto, è una passeggiata dritta al cuore del disco, una carrellata ipnotizzante di immagini e suoni. È soprattutto un pezzo che vive di una tensione continua: sempre in procinto di esplodere, ma lo fa davvero solo per un attimo nel bel mezzo della canzone, spaccandola in due e spaccando in due chiunque trovi un verso come “I ask you fuck me as hard as you can/ I wouldn’t feel anything” di una potenza e di una semplicità disarmanti.
Neanche il tempo di abituarsi alla pioggerella fuzzy di “Stay Hydrated!”, unica strumentale dell’album, che l’intro nostalgico di “Breastbone” fa il suo ingresso in punta di piedi. Con la testa si è già nelle “Cayman Islands” dei Kings Of Convenience, ma più che nel bel mezzo di un riot on an empty street, qui c’è la protagonista che ripete come un mantra il brevissimo testo per isolarsi dall’atmosfera gioiosa che la avvolge tutta intorno.
La chitarra acustica, che in “Traveling Hard” sembra accompagnarci sul “Black Mountain Side” di zeppeliniana memoria, si appropria con gentilezza dei due brani successivi. “Perkins” – la più pop, se di pop possiamo parlare con “Two, Geography” - e “Mother Goose” avvicinano Any Other all’ultimo album di Lucy Dacus, prima che “Capricorn No” riesca a sorprenderci ancora una volta con un cambio di registro di gran classe, mentre il cantato diventa quasi R&B e le tastiere fanno a gara con basso e batteria a chi indovina il giro più sensuale (spoiler: vincono tutti).
In ogni caso, il viaggio alla scoperta dei confini dell’album non poteva che collimare con “Geography”. Ti ritrovi a tu per tu con la voce di Adele (che nella recensione di “Silently. Quietly. Going Away.” Letizia Bognanni descrive magnificamente come risoluta e vulnerabile), ti guardi indietro e carichi di un ulteriore significato tutto il percorso. Quel “do you read the lyrics when you listen to the song?” è la domanda che mette l’ascoltatore (italiano) davanti a un bivio: se si vuole capire a fondo la natura di “Two, Geography” ci si deve prendere la briga di far caso anche alle parole. Potevano aiutare in più di un’occasione – dice Adele – potrebbero regalare più di una gioia, aggiungerei io. Come quando in “Walkthrough” l’artista riesce a racchiudere in due frasi appena l’angoscia di chi si sente inadeguato nell’era dei social media: “If they don’t see me I am nothing/but if they notice me I’m nothing at all”.
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