È dal lo-fi dissennato e lacerante, in un helter skelter di mansoniana memoria, che prende il via l’album "Holy Motor" degli Sloks, in un perpetuo stato di trance garage rock e momenti di noise. Al contrario dell'istrionica violenza di "Rat", negli strepiti clowneschi diabolici per gli arrangiamenti e le parti vocali, si afferma nella traccia omonima del disco “Holy Motor” il primo riff importante della band, spostando l’attenzione dalle atmosfere dettate dalla teatralità dei Cramps, alle influenze primordiali del tocco chitarristico di Link Wray e all’esasperazione più aggressiva del raw power psichedelico degli Stooges.
La prerogativa western dello psychobilly si arricchisce della solennità evocativa di “Jazz is Dead”, dilatando le ritmiche cadenzate a una trascendenza non dissimile alla deriva della ragione che colpisce il celebre comandante Kurtz di "Apocalypse Now", personaggio interpretato in maniera magistrale da Marlon Brando. Un incontro arduo da sostenere vista l’ambiziosità della composizione, presto frenata da esempi piuttosto lontani da quella direzione se si pensa a “Killer” o a “The Swamp”, dove nella prima il gruppo dimostra di saper anche affrontare l’anarchia melodica del teenage punk su ritmi scatenati da live, grazie a una composizione meno destrutturata rispetto al resto del repertorio, e altresì, proporre nella seconda il riff garage blues più avvincente del disco. Perfino in "Crashing”, legata a uno stile eufemisticamente più convenzionale, irrompe come non mai il fuzz, che in totale saturazione riesce a infuocare il sound tanto caro alla band di Torino. Meno rilevanti sono le tracce finali “Lost Memories” e “By the River”, dove nella penultima, la voce si scolla fin troppo dal giro blues, degenerata nella sua follia punk, privata di qualsiasi schema e intaccando con uno scream straziante e implacabile anche l'ultima canzone dell'lp.
Per quanto possano essere importanti i riferimenti all'interno del disco, gli Sloks compiono un lavoro importante riuscendo la maggior parte delle volte a tenere alto il livello di aspettativa, senza quell'ossessione di dover strafare, in un equilibrio di idee e sonorità maturo e credibile rispetto al proprio discorso musicale. Difatti, nonostante una densità sonora così complessa, "Holy Motor" è un album molto ispirato e svluppato in maniera più che brillante, capace di ravvivare la realtà di un'intera scena.
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