Il panorama musicale italiano, oggi, pullula di “fenomeni” indie. Ma cos’è indie? E cos’è alternativo all’indie? E cosa è rimasto del rock? Nessuno (ahimè!) lo sa e lasciamo ai posteri il difficile compito di sentenziare. In queste macrocategorie, aleatorie e problematiche, ci potremmo infilare anche i Grace N Kaos, all’anagrafe Gianluca Casazza (voce), Massimo Tabacchin (batteria ), Federico Andreotti (basso), Davide Pelà (chitarra) e Stefano Sottovia (chitarra). Sì, potremmo (e non possiamo) perché in realtà di indie c’è ben poco, di rock ne abbiamo a sufficienza ma, fondamentalmente, l’anima, nuda e cruda è un pop viscerale. Specie nei testi. Vi ricordate la band materana Le Mani? I Grace N Kaos hanno quel tocco lì, in certi punti magari risultano un pelo più aggressivi alla Negramaro. Sorprendente è poi la voce di Gianluca Casazza che, timbricamente, evoca quella di Danilo Sacco dei Nomadi.
La prima fatica in studio della band di Rovigo contiene alcune tracce già presenti nell’ ep del 2017, “Sogno d’aprile”, ma riarrangiati in chiave più leggera e melodica. L’album si apre con la title-track “Bambino” che ci lascia intuire già la dimensione in cui naviga l’album, ovvero, quella intima e intimistica della famiglia, e così “Diario di una poetessa minorenne” risulta emblematica a riguardo, e presenta due piani di lettura: quello reale di un padre preoccupato per la propria figlia (“Sento la tua penna che racconterà che non rimedierà ad un cocktail di allucinazioni Ubriacati di sogni e vomita realtà”) e quello virtuale e puerile di una figlia che recita “una parte che racconterà la vita in una pagina”. Lo stesso clima intimo lo ritroviamo in “ X E”, un brano piano e voce, incentrato sulle speranze e le promesse di due giovani innamorati (“Invecchierai con me giorno dopo giorno, faremo crescere il nostro Sogno, prendimi e Stringimi forte a te più che puoi non lasciarmi”). Più graffiante “Sogno d’aprile” , sensuale e appassionata descrizione di un sogno che di sogno, in realtà, ha ben poco, tanto è vivida la descrizione di un focoso amplesso (“Indomito è il fremito che mi porta dentro te tra le labbra tue succose e la tua voracità e colmo di passione salgo e scendo su di te”). “Nuvola” è diametralmente opposta, nel tema, a “X E”. Se il sound resta morbido e acustico accompagnato solo da una chitarra, differente è il tono, dimesso, sulla fine di una storia (“Potessi l’azzurro degli occhi tuoi lo riporterei a te. Sei come nuvola, eterea, libera, su cui scivola la mia lealtà”). "Sarà il sole", il singolo che ha anticipato l’album, è un rock arioso e generoso. Chiude l’lp il brano che, più di tutti, ha cambiato forma e volto, “Eterno”, il quale si è svestito delle vestigia rock ed è passato a una versione intima per pianoforte che meglio si adatta a tradurre in musica un doloroso addio. Menzione a parte merita la cover dei Timoria “Sangue impazzito”, rivista in chiave spaziale e cosmica. A sottolinearne la bontà, e la cosmicità, sono i synth in coda al brano.
Al netto di tutto “Bambino” è un disco che non convince. L’impalcatura dei brani è sufficiente ma, purtroppo, non c’è niente di nuovo né di innovativo e il connubio rock- lingua italiana, salvo alcune eccezioni, funziona poche volte. È un disco che difficilmente si butta giù d’un sorso. I contenuti, poi, risultano a tratti scialbi e mediocri. Le tematiche affrontate, nella loro intimità, sono comunque abusate, trite e ritrite e le metafore (pensiamo a “Sogno d’aprile”) non sono delle migliori. Insomma, non tutti producono il disco della vita al primo colpo. Attendiamo il prossimo capitolo, per adesso li rimandiamo a settembre.
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