Gli AC/DC cantavano che il rock 'n' roll non è inquinamento acustico, e per quanto il nome non aiuti a sostenere questa tesi i Turbodiesel sono un piacere per le orecchie amanti del metal old school.
Riff melodici da heavy, ritmica al galoppo da thrash e voce urlata e apositamente affaticata alla Lemmy Kilmister. Le origini delle sonorità del gruppo emiliano sono ben chiare e il loro primo disco di inediti le onora tutte.
Sin dal primo brano, "Petrolhead", viene scandita questa loro "poetica" che viaggia dai riff storici dei Motörhead fino a quelli dei Metallica, richiamati forse anche dal titolo del brano "Nuke 'Em All", passando anche da un po' di classici Manowar e altri dei del metal come loro (il brano conclusivo "Brotherhood of Steel" ne è la prova con titolo da inno, riffoni e tastiere più presenti).
In versione "lento" i Turbodiesel non danno il massimo ma, dopo appunto la frenata di "A Thousand Miles", smentiscono il proprio nome e riescono a ripartire velocissimi con "Walkin' on Fire" e la più articolata "Juliet".
Per chiudere questo album d'esordio non poteva esserci brano migliore del loro già citato inno al metallo per eccellenza per far alzare le corna al cielo e ricevere i meritati applausi del pubblico che, come alla fine di tutti i migliori concerti, sudato e felice si dirige verso l'uscita pensando già a quando avrà il piacere di risentirli.
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