Tra i componenti della band deve evidentemente nascondersi Nick O’Malley, bassista degli Arctic Monkeys, questo è quel che ho pensato sentendo la sesta traccia dell’album “We do know”.Ascoltandola potreste scambiarla per “Why'd you only call me when you're high”, almeno dall’intro. Ma Le assonanze con la mia band preferita non finiscono qui, in “Bobby Bones” è facilmente riscontrabile un andazzo “caliente” alla “Arabella\Fireside”. Whatever, sarebbe veramente limitativo ridurli ad una sterile imitazione delle scimmie di Sheffield, in effetti, questa band fiorentina è qualcosa di molto diverso, più rumoroso, dalle sfumature decisamente più “hard”.
Per questa recensione ho deciso di non imbastire nessuna trama compositiva, ho pensato che fosse molto più sincero raccontarvi le allusioni (magari un po’ azzardate) che di canzone in canzone mi sovvenivano alle orecchie. Citando una manciata di band con i contro cazzi che ai più potrebbero anche far storcere il naso. Sapete qual è la mia canzone preferita degli Alt-J? Esatto, “Left Hand Free”, la ritengo un tentativo d’imitazione dei Black Keys che ha dato vita ad un ibrido interessante, “Kay” mi ha proiettato esattamente in questa mood. “The Saviour” sembra in un remix di FatBoy Slim, Per non parlare delle schitarrate cafone di “Get Loose” o “Hell Boar” che, disseminate per tutto l’album, regalano sprazzi di Wolfmother. Un ensemble sonoro inedito, particolare dal quale però una tonalità sembra dominare decisamente sulle altre, quella stoner, desertica, alla Psychic Ills. Come se l’intero disco fosse stato registrato dai primi Queen of the Stone Age in uno studio della Death Valley.
Paragoni importanti che vanno evidentemente maneggiati con tutta la cautela del caso, ma me ne prendo la responsabilità: i God Of the Basement sono la nuova band più fica della Toscana.
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