Non c'è davvero nessun motivo per cui il pubblico che riempie le arene per i nomi del rock internazionali non si affolli anche sotto il palco di Threelakes & The Flatland Eagles
Esiste un'Italia nascosta capace di far battere il mio cuore come solo poca musica davvero sincera sa fare, grazie a cantautori armati di tantissimo talento, una chitarra e delle buone idee. È l'Italia che guarda all'America di Phil Reynolds, Oh Petroleum, 2hurt, Letlo Vin, artisti che negli ultimi anni si sono mossi fuori dai circuiti dei grandi palchi, impiegando molto tempo e dedizione alla loro ricerca musicale; non è un caso che molti dei nomi citati vengano da zone dell'Italia che più di altre possono assomigliare a un astratto mid west americano, e che abbiano imparato a maneggiare un linguaggio che storicamente non appartiene alla nostra musica, se si fa finta di non vedere che uno come Springsteen, che le regole di questo gioco le ha scritte, sia un italoirlandese.
L'etica richiederebbe di non svelare i retroscena, ma nel parlarmi di questo disco Luca Righi aka Threelakes non mi ha nascosto una certa preoccupazione per il fatto di pubblicare per la prima volta nella sua carriera un disco con le chitarre elettriche, dopo molti anni con la sola acustica. Suona strana una preoccupazione come questa nel 2018 no? Come un novello Bob Dylan Threelakes ha affrontato la sua voglia di evolversi, una processo che a onor del vero ha riguardato quasi tutti gli interpreti del genere, del passato e del presente. Sembra una storia da biopic diretto da Cameron Crowe: il ragazzo con la chitarra si toglie la camicia a quadri, mette i jeans stretti e forma una band. Con dei sodali con una lunga conoscenza in materia (Giorgio Borgatti e Paolo Polacchini dei Three in One Gentleman Suit, Lorenzo Cattalani, Riccardo Rossi dei nuovi mostri del rock'n'roll Evil Knievel, Daniele Maini dei Mood), Threelakes tira fuori una nuova identità sexy, da rockstar iconica ma dall'animo sensibile.
In questo "Golden Days" le chitarre elettriche si prendono molto spazio davvero, tanto da avere il compito di insistere su riff che sono i veri e propri ritornelli dei brani, come in "Places"; le canzoni passano da atmosfere sospese e crepuscolari come "The Storm" e "Ask something new", al solido rock di "Brothers" (il più springsteeniano) e "Carol"; altri brani sono meno collocabili e forse appena più ingenui, come "Heaven's cell" su cui Threelakes ha detto "Non mi dilungo molto, parla di sesso. Volevo fare un brano soul e sexy". Non sono sicura che sia riuscito a fare una canzone sexy, ma di certo qualche coppia si bacerà in spiaggia su questo brano. Forse Threelakes non aveva messo in conto che il brano davvero sexy del lotto è "Golden Days". È anche quello che rende più giustizia a Threelakes come interprete, che ripara a una voce non particolarmente estesa o ricca di sfumature con un'interpretazione davvero da brividi, che infrangerà più di un cuore. Il ritornello accarezza come una mano proibita ma desiderata, e regala dei momenti di emotività che si trova solo nella musica dei grandi, quelli veri.
Threelakes può ben fregiarsi di citare tra le sue influenze Tom Petty, Ryan Adams, i War on Drugs. Questo album ne apprende la lezione e ci restituisce un autore ispiratissimo e ben conscio di tutti le figure del genere (la donna che non trova un uomo che la ami davvero, il duro lavoro, i ricordi di infanzia), maneggiati qui senza paura di sembrare manieristi o peggio ancora epigoni. Non c'è davvero nessun motivo per cui il pubblico che riempie le arene per i nomi citati più sopra non si affolli anche sotto il palco di Threelakes & The Flatland Eagles, perché questo album è il primo (nuovo) passo verso uno di quei progetti musicali che potrebbero cambiare qualche vita, o quanto meno farci sentire vivi.
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La recensione Golden Days di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-10-22 00:01:00
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