Il rapper con la sindrome di Egon.
Una delle peculiarità stilistiche di Schiele (il pittore) sono i ritratti. In questi dipinti, i soggetti, spesso, erano raffigurati come se si stessero guardando allo specchio. Lo specchio è una metafora profonda che sta ad indicare un’analisi compiuta attraverso un’immagine, una proiezione della propria persona. I personaggi di queste opere non sono mai raffigurati secondo le norme classiche dei ritratti ma assumono sempre pose artificialmente naturali, tante forzate quanto spontanee, come se fossero intenti ad individuare qualche difetto del loro corpo dal quale sono tormentati.
Il tratto nevrotico del pittore viennese non era indirizzato ad una rappresentazione fedele di una situazione, di uno scorcio, andava ben oltre la valenza esclusivamente estetica dell’immagine. La deformazione dei canoni classici della realtà raffigurativa serviva ad esprimere qualcosa che, effettivamente, non è riproducibile attraverso l’ausilio delle figure: lo stato d’animo.
Sono le basi dell’espressionismo -da Matisse a Munch- a qualsiasi latitudine dell’Europa. I punti focali di ogni opera divengono il soggetto pensante ed il suo modo di intendere la realtà che, essendo spesso in disaccordo con quello della gran parte delle persone, costringe l’artista ad un esilio forzato dalla società. Questa rivoluzione artistica trova le sue radici nel pensiero di Freud che, con le sue teorie, ha permesso di porre una base scientifica a tanti atteggiamenti e pulsioni dell’uomo, oggi come allora, ritenute immorali dalle norme vigenti del buoncostume ma, del resto, del tutto naturali. Io non so se Schiele (questa volta il rapper) sia un appassionato di psicoanalisi. Quel che è certo, il titolo del suo primo album ufficiale, “Abissi”, lascia presagire un determinato tipo d'immaginario.
Ai tempi della secessione viennese nel ripudio dei canoni dell’Accademia era insita la portata rivoluzionaria di questa nuova corrente, al giorno d’oggi, nel rap, adottare una linea “antica”, old school, rappresenta una scelta sicuramente controcorrente. In questo senso, Schiele è l’artista perfetto per continuare un discorso già intrapreso dalla Glory Hole Records, un’etichetta che non si è limitata a spingere gli artisti del territorio ma, fin dalla sua nascita, ha promosso una certa ideologia legata al modo di concepire e scrivere musica. Ed è veramente raro che nell’album di un artista così giovane si possa trovare una intro scratchata.
Se l’intento di Andrea era di creare un concept basato sull’omonimo artista (non credo) ci è riuscito alla grande. Le atmosfere cupe dell’album ed il suo flow nervoso sono la perfetta rappresentazione sonora dell’angosciosa poetica del pittore austriaco. “Abissi” è un album con uno spettro di tematiche ampissimo –dalla lontananza da casa al disagio dovuto alla visione limitata di una realtà provinciale, la difficoltà di emergere in un panorama musicale che da sempre più importanza all’apparenza, la vacuità di certi rapporti, la valenza della terapia- da un punto di vista tanto sociale quanto personale, inserendosi in quel filone di storytelling alla Claver Gold (presente in“A pezzi”, penultima traccia dell’album) che ha saputo affrontare la depressione, il disagio attraverso i testi delle proprie canzoni.
Proprio come nei dipinti di Schiele, la crudezza delle immagini e l’apparente violenza in realtà celano un’enorme fragilità.
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La recensione Abissi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-01-02 09:00:00
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