“Sono solo canzoni d'amore. O qualcosa del genere.” si premurano di sottolineare I Gattini Di Salem, quasi a volersi giustificare per la curiosa bizzarria concettuale che accompagna quelle stesse canzoni: dall’astruso titolo in giapponese che battezza questo loro debutto al front della copertina disegnato con cera, vino rosso e sangue, passando dalla frequenza vibrazionale di stelle e pianeti del sistema solare mixata all’interno di ogni singola traccia.
Rifiniture a parte, il trio siciliano non si spinge oltre un rock tanto variegato quanto familiare che si muove tra power pop (“Codice Rosso”), sberle punkeggianti (“Bukowski”, “Vampiri”), decongestioni elettro-acustiche (“Fringe”, “Distacco”, “Cimitero”) e ballate sferraglianti (“Dio sulla pelle”, “Lucca”) spesso ricorrendo – con scarsa originalità a dire il vero – a spezzoni audio di film per aprire e chiudere i brani.
Il romanticismo, il cinismo e il sarcasmo che impregnano i testi (“E non ti voglio toccare / Mi viene il vomito, Gesù / Perché l’amore è una discarica”) rendono l’impianto lirico di gran lunga migliore rispetto a quello musicale, solido e a tratti impattante (“Ketsuekigata”), vero, ma sinceramente non abbastanza coraggioso e privo di provvidenziali colpi di coda, con le sue chitarre sfacciate, la sezione ritmica che tiene botta e la frontalità vocale che lo indirizzano in un qualche modo verso le coordinate GPS di Zen Circus e Marta Sui Tubi.
Sufficienza agevolmente guadagnata, ma più per il mestiere che per altro.
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