Canzoni d’autore dal metabolismo lento, in questo album della band marchigiana capitanata da Manlio Agostini. Dal taglio misto tra pop, tradizione, folk, i pezzi del disco sembrano appartenere a momenti e ispirazioni distanti, risultando dispersivi. Tuttavia, come da miglior tradizione cantautorale, si avverte il peso di testi profondi e ispirati, a volte melmosi nel dar voce ai fallimenti di un momento storico senza sole. Le melodie vocali si infilano tra le maglie di suoni ora più cupi, ora sbarazzini, rivelando una solida personalità. Il maggior punto di forza di “Cicatrici”? Saper veicolare il messaggio attraverso parole e immagini.
Perciò largo al pop, quello più morbido, dal songwriting colto, in “Teoria dell’involuzione” dove l’uomo vede sé stesso, come un automa, davanti ad uno schermo gigante senza colori. Una questione privata, indizio di un passato riconciliato con il presente, è in “Piramide dei bisogni”: simbolo di un viaggio sentimentale che mira al disvelamento. Dal cuore all’impegno sociale, si giunge attraverso “Cicatrici”, “3 Ottore 1943”, “L’elemento sorpresa”: passando a melodie concepite nella penombra di sentimenti raccolti tra le macerie del disastro di Genova, la lotta alla mafia e la memoria partigiana. Interessante questa dimensione di coscienza dell’album tra il personale e l’universale; fino al colpo di coda di “Benedetta nuova vita”, “Albe adriatiche”, “Una notte d’inverno”: canzoni leggere su testi riflessivi tra ganci pop e ritmi, tra cui spicca “Spettacolo”, vicinissima a Samuele Bersani.
Che dire di più? I semi sono stati gettati. C’è solo da aspettare e vedere se produrranno frutti.
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