La denuncia tutt'altro che pacata di Molto Poco Zen targata Rough Enough
Attorno alla figura carismatica del cantante e chitarrista Fabiano Gulisano ruota buona parte del progetto Rough Enough, che sostenuto dal suo batterista Raffaele Auteri, porta avanti l'idea di un album rock espressivo e ruvido, figlio delle correnti alternative dell'hard core e del punk.
L’album Molto poco zen che dà il titolo all’ultima traccia del disco, rompe gli indugi con “Mackie”, mettendo subito in luce riff chitarristici di forte impatto sonoro, in grado di supportare a dovere testi intrisi di critica e malcontento nei confronti della società e di individui sempre più distratti, avidi, spietati e succubi di un agognato e apparente senso di libertà, nonostante il risultato delle composizioni non trovi sempre una vera e propria conclusione nei testi.
Da questo incipit, si sviluppano canzoni piuttosto omogenee e prive di particolari accenti. Dalla tumultuosa “Una lunga serie di scelte sbagliate” fino alla “Finché morte non ci separi”, le radici degli anni ’80 nelle scorie del punk, riaffiorano dissonanze strumentali sempre più al limite rispetto alla significativa importanza della linea vocale. Brilla più delle altre il richiamo evocativo di “Non è colpa mia”, impreziosita dalla fugace apparizione della tastiera presto svanita nell’atto d’accusa più sentito del disco con “Il IV Stato”.
Appena fuori dal coro, interviene “Kairo”, che in un buono esercizio di metrica, traghetta la voce verso una direzione più inedita, così come nella particolare aurea che avvolge “Noia”, caratterizzata invece da un recitato quasi liturgico che riesce ad accompagnare il significato del testo attraverso la musica. L’unico spiraglio di apertura sonora viene rilasciato dall’inciso del brano finale, dove i toni dissacranti e le frasi ingiuriose portano una certa dinamicità alla definitiva spaccatura verso tutti quei valori simbolo di una società malata, ancora una volta asservita a sé stessa e a tutto ciò che rappresenta. Una rilettura interessante per il duo catanese, che riesce in parte a rielaborare la propria intensità talvolta un po' stantia rispetto all'evoluzione linguistica e musicale nei confronti della discografia odierna, interrompendo di fatto quel messaggio di riflessione e di risveglio che il disco porta con sé.
---
La recensione Molto Poco Zen di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-02-19 00:00:00
COMMENTI