Blur, Depeche Mode, l’indie rock degli anni duemila imbastardito con l’elettronica: tutte queste sono le influenze che si possono vedere ascoltando in controluce “Mother Goes Plastic”, secondo album di Lùcafall, moniker dietro di quale si cela Luca Fallini, cantante e polistrumentista romagnolo.
I dodici brani che compongono l’album vanno a pescare, come si anticipava sopra, da mondi differenti, aventi però come tratto d’unione quello di ricercare una compenetrazione tra il classico brano rock e atmosfere più digitali. Si spazia così dall’electro-britpop della traccia d’apertura, “Subway”, all’indie rock di “Radio Moonchild”, fino al pop di “Beginners”, che riecheggia le atmosfere di James Blunt.
Sarà riuscito Lùcafall a fare da collante tra ispirazioni così diversificate tra loro? La risposta breve è: sì. Quella più lunga sottolinea come proprio questo sia un aspetto molto interessante del disco, la sua eterogeneità e la continua ricerca di un’identità che sia propria di ogni canzone, e che porta a piccole gemme come “Closing Credits”, un pezzo sembra provenire direttamente dall’universo. Insomma, la qualità generale è più che buona, non ascolterete canzoni oggettivamente brutte. Nella seconda metà dell’album, a voler fare i pignoli, si percepisce un filo di stanchezza, forse anche per l’accavallarsi di pezzi più strettamente melodici e rilassati, che favoriscono il calo dell’attenzione e sui quali Lùcafall sembra meno propenso a rischiare. Un paio di tracce in meno avrebbero forse giovato alla godibilità generale del disco, ma questo “difetto” non finisce comunque per alterare l’impressione –buona– che "Mother Goes Plastic" suscita.
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