Nonostante si sia costretti ad ascoltare l’album attraverso il prisma distraente di una voce stonata (volutamente?), con snervanti momenti in cui si tenta di afferrarne la direzione, “Triplice artefice dei miei sensi” è un disco dai timbri eclettici e dalle sfumature che vanno dall’acido all’orfico, soprattutto nell’uso delle parole. Esempio di opera calata nell’oscurità dei sensi di cui l’artista si definisce artefice, un po' sfilacciata nella forma, è una scombiccherata ma curiosa soluzione sonora che spazia dal rock al pop. Da mettere a fuoco.
“Madre” è la traccia di apertura, un ritorno alle radici, un’invocazione alla vita quando si smarrisce lucidità e speranza. Gli arrangiamenti sono curati, il tessuto narrativo/musicale c’è, per contro la voce, a tratti, perde di tenuta. Seguono tre ballate acustiche più convincenti che precipitano in una sorta di trance agonistica, nel raccontare le tempeste sentimentali di un’anima scrutata a notte fonda (“Un altro giorno con me”, “Black-blue eyes”, “Amsterdam”). Dal rock passiamo al pop più sincopato, in questo album in cui riverberano di continuo gli Afterhours. “La dolce stagione”, “Dentro al mare” rappresentano un viaggio in sé stessi, scaldato dalla bellezza del mare in cui è dolce perdersi (“Galleggiare”). Tornano melodie più dolci in “Libellula”, “Myriam”, “Il finale della storia”: visioni, ritratti quotidiani, sogni ad occhi aperti di cui si fatica a distinguere i contorni.
Un disco riflessivo, privato, sospeso in una dimensione parallela tra giudizio e desiderio, rock e pop, malinconia e abbattimento. Di sicuro alla ricerca di soluzioni personali, poggiando su un buon senso musicale, Steno talvolta colpisce al cuore, talaltra perde mordente. Ora sta a voi esprimere un’opinione.
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