Un elaborato piccolo ma al tempo stesso prezioso, quello pubblicato dal musicista classe '96 Pietro Giay: il suo mini-ep autoprodotto si intitola “Cosa a tre”.
Fin da subito si esplica, quindi, il groviglio di vite e musica che segna la genesi delle tre canzoni, ognuna intitolata con nomi di persona (due femminili, “Anita” e “Sophia” ed uno maschile, “Pablo”): il sound ripercorre la scia di un cantautorato folk ormai robusto in Italia, impreziosito da riverberi e percussioni di richiamo swing e western mai invadenti, perché in primo piano c'è sempre la voce del torinese Pietro e le storie che racconta.
Scavando nei testi, qui e lì è possibile scoprire qualche riferimento biografico, perché forse questa trinità terrena non è altro che la multisfaccettata personalità di chi firma le canzoni, oppure semplicemente tre anime che si incontrano chissà dove. È certo, invece, che solo tre canzoni lasciano ancora tanto appetito per le prossime portate. Menzione d'onore alla maglia dei Peter Punk indossata dall'artista nel videoclip di "Sophia".
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