Vecchia interpretazione di brani autoprodotti in chiave retro-punk.
Una delle cose più difficili per un artista è dare un nome alle proprie opere. Nella maggior parte dei casi ci sono talmente tante sfumature in un prodotto artistico, talmente tanti sono i percorsi creativi per raggiungere quella sostanza, che alla fine ridurre tutto in poche parole diventa il lavoro più difficile. Logica vorrebbe che in qualche modo però, il titolo fosse un minimo legato all'opera in questione, ecco, "Revolution" dei Light In The Sky non è esattamente l'esempio più adatto per dimostrare ciò sopra detto.
Un disco, questo, di rock vecchio stampo, che poco ha a che vedere con la revolution, almeno in senso letterale del termine: i risvolti personali non è dato conoscerli, magari ci sono. Tredici canzoni che oscillano perse tra il post-rock anni '90, come se una lavatrice avesse sputato fuori gli Smashing Pumpkins e i Boston dopo un lavaggio intenso a 90° e ottomila giri di centrifuga, con tanto tanto ma tanto ammorbidente non di marca.
I Light In The Sky sono una band di Genova che ok, magari i propri strumenti li padroneggia pure, ma dall'assemblaggio finale delle idee non emergono molti passaggi originali, anzi, certi momenti di semi-recitato di Lorenzo, il cantante, riportano alla mente alcune cose del punk anni '80 che sono ciò che di più anacronistico ci possa essere, uscendo ora in un panorama discografico fatto di indie-pop dove lo slogan d'amore strampalato la fa da padrone.
Se l'obbiettivo era fare musica per se stessi, per raggiungere il traguardo dell'autoproduzione allora ci siamo: ci sono tredici canzoni registrate e suonate anche bene, il problema è che manca uno straccio di "Idea" (titolo della traccia numero sette), oltre alla difficoltà nella regolazione dei volumi in fase di missaggio. Voce fuori dalla base, pronuncia difettosa dell'inglese, scarsa incisività delle parti di ogni strumento, sembra tutto livellato, nulla spicca al momento giusto. Anche gli sprazzi di inventiva in brani come "In the mountains" (dove viene tutto vanificato da un antidiluviano solo di chitarra), o "Taxi driver" dove i diversi generi si inseguono senza logica (era meglio forse sviluppare in più brani il mix), non riescono a dare la scintilla vitale a questo disco.
Forse con un aiuto esterno alla produzione, "Revolution" poteva diventare un disco con una direzione ben precisa e con un suono identificativo. Il lavoro si sente, ma non esiste una più distaccata visione dell'insieme, qualcosa che renda il tutto più contemporaneo o quanto meno dia una reale spolverata di rivoluzione, in poche parole che doni un senso al titolo dell'album.
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La recensione Revolution di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-01-17 09:00:00
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