La capacità di divorare musica di diversa epoca e provenienza e farsi filtro creativo per ricrearne impulsi e atmosfere, senza eccedere nelle reminiscenze ma guardando sempre avanti, è sicuramente una delle doti maggiori dei ciociari Wilderness, che con “I’m not here”, secondo album sulla lunga distanza, confermano di aver saputo far propri suoni e umori post-rock, shoegaze, new wave e alternative rock e di essere in grado di rileggerli in maniera personale e convincente.
Questa loro nuova creatura ha il taglio degli occhi e il sorriso malinconico degli anni 80 ma gli zigomi appuntiti e i colori degli anni 90 e una solida ossatura, figlia degli anni 00, che si evidenzia nei suoni puliti e corposi. I brani che compongono questa creatura immaginaria hanno metà elica del DNA fatta di U2, Slowdive e Wilco, e l’altra metà fatta di Spaceman 3, The National e Velvet Underground, ma le due parti si intrecciano perfettamente e il loro continuo ed ipnotico girare mostra ora quella e ora quell’altra sfumatura sotto un profilo sempre nuovo.
La firma della band è presente nel gusto raffinato per le melodie oniriche e nostalgiche, che galleggiano all’interno di strutture strumentali dilatate ma con un cuore battente inarrestabile. Punto di forza è quindi sicuramente la sezione ritmica, con l’inquietudine di una batteria fremente e la solidità del basso che ne enfatizza le tachicardie, ma anche la voce grave e profonda, capace al momento giusto di librarsi in volo su ali di chitarre fluidissime e in continua tensione emotiva.
Nella musica dei Wilderness non ci sono confini spazio-temporali e la loro provenienza italiana non gli impedirà, con la spinta giusta, di farsi apprezzare anche all’estero.
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