E se vent'anni fa a Pordenone fosse uscita una band chiamata "Sindacato dei sogni"?
Va bene, forse “Sindacato dei sogni” non è il capolavoro dei Tre Allegri Ragazzi Morti. E tantomeno è sensato rincorrere il capolavoro parlando di una band del genere. I Tre Allegri sono qualcosa di talmente decisivo per la canzone italiana che possono permettersi di fare esattamente quello che pare loro, e ogni volta imbroccano sicuro qualcosa di altrettanto decisivo, forse troppo presto o in una salsa troppo straniante per essere immediatamente riconosciuti. Premettendo poi che, come si dice tecnicamente, i pezzi della madonna non mancano, questo disco è un disco storico. In che senso storico? Storico nel senso di storiografico. È un piccolo riassunto, un bigino dei TARM. Lo hanno scritto con i suoni che li caricavano quando erano ragazzetti, con i temi di sempre e lo sguardo di chi non è più proprio un ragazzetto. C’è tutto quello che ci deve essere.
Partiamo dai suoni: in un periodo che sta pian piano digerendo la sbronza eighties iper-compressa nei suoni di synthini hi-fi che dominano la musica leggera italiana, i TARM propongono degli altri anni ‘80, i loro. Dalla doccia di freschezza che sono stati gli Smiths per tutto quel periodo, ai dodici minuti di “Una ceramica italiana persa in California” che suona (sparo un termine a caso) post-prog. Parlando a tal proposito di un fantomatico “ritorno delle chitarre”, per loro questo genere di operazione è stato immediato: fare quello che sono sempre stati, prima della cumbia, prima della dub, prima di tutti. Con la differenza che i suoni sono fatti in un super studio, con super attenzione.
Già questo basta per giustificare la definizione “storico” per questo disco: aggiungici poi quel tantino di malinconia per i tempi andati che i Ragazzi Morti hanno visto negli ultimi trent’anni, quell’aprire le scatole a casa dei tuoi e trovarci dentro i videoclip in super8 dei The Superbs (band a metà tra Andy Warhol Banana Technicolor e XX Century Zorro, formazioni di quel bollore artistico che è stato il Great Complotto di Pordenone tra i ‘70 e gli ‘80, omaggiato a più riprese, in più brani). Mettici pure l’angoscia di vedersi cambiare e la coscienza che l’unica cosa che conta è il presente. Tipo: “Cammino quasi fino a sera, senza pensar prima com’era, senza pensar come faremo” cantato in una canzone dolcissima che diventerà inquietante nel giro di una strofa (“Accovacciata gigante”). C'è ancora un pezzo-mantra, super strillabile, in stile classicone TARM, "AAA Cercasi"; c'è ancora un piccolo gioiello romantico e post-apocalittico, "Bengala", che ha quasi il sapore dei tempi del "Principe in bicicletta". Ma il presente non è decisamente escluso dal discorso, anzi, bussa insistente: “Agli operai del Ghana che da una settimana li hanno mandati a casa, ma dimmi quale casa”, recita “Calamita”, e più o meno l’interezza del brano “Non ci provare” fa eco.
Insomma: passato, futuro e un solo grande presente, tremante e inquieto, ma presente. “Sindacato dei sogni” è il nome con cui potremmo descrivere l’interezza del percorso dei Tre Allegri, una delle poche ostinate realtà nel nostro Paese che non si è mai stufata di puntare tutto su quello che sogniamo. A ripeterci da qualche generazione che non c’è da sentirsi addosso la sfiga a usare questa parola, e che ci vuole il coraggio di prendersi la responsabilità dei propri sogni. Soprattutto adesso.
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La recensione Sindacato dei sogni di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-01-28 10:00:00
COMMENTI (1)
bellissimo questo disco! visti dal vivo tanti anni fa, mi sa che è giunta l'ora di replicare