La Làmia è una strega, un essere mitologico che uccide e divora, lo spettro scarno con torso di donna, coda di serpente e occhi privi di luce che fluttua sulla copertina del promo-cd dei Lamia, band di Benevento che a questo fantasma ha rubato il nome. Cinque pezzi registrati in tre giorni, il gruppo presenta il proprio lavoro come “il risultato di un intreccio naturale di sensazioni”, in realtà è evidente che dietro ai brani, oltre a carica emotiva e “spontaneità” c’è anche molta esperienza e cura tecnica.
È una discesa nell’antro della Strega, con tutta la tensione di un viaggio schizofrenico, e trasmette un’inquietudine che non mi abbandona una volta terminato l’ascolto: devo far ripartire più volte il disco, senza riuscire ad afferrare quel “non so che” di strano che ne pervade l’atmosfera.
Le due chitarre si rincorrono su un tappeto ritmico compatto e potente; si passa dalla scattante traccia d’apertura all’inaspettato incedere in terzine di "Ice blow ", che diventa una sorta di valzer “noir”. Ogni canzone si adatta a uno stato d’animo diverso, tanto che mi riesce difficile dire quale sia la mia preferita. La voce di Falbo conduce le danze, è una lama a doppio taglio, suadente e quasi sussurrata ma pronta ad alzarsi e stridere come una maledizione. Ha imparato la lezione da maestri come Radiohead e At the drive in, a tratti me lo immagino come un essere multiforme, vittima di un incantesimo che lo costringe a cambiare volto e passare in un momento da un sorriso malinconico ad un ghigno scintillante e beffardo...
I venti minuti scorrono senza cadute di tono, dopo pochi ascolti le linee melodiche sono già ben impresse in mente, però resta l’aria interrogativa e sfuggente della Làmia che non mi guarda in viso dal cartoncino del book e non concede risposte. L’arcano si svela solo quando faccio uno skip veloce dell’inizio di ognuna delle cinque tracce: non so se si tratti di un caso o di una scelta precisa, ma la nota di partenza è la stessa per tutte. Credo che sia questo affezionarsi ad una gamma ristretta di tonalità il limite della prova del quartetto campano; i brani nel loro insieme risultano “monocromatici”, anche se ascoltati singolarmente mantengono intatto il proprio fascino. La magia regge per il tempo di un promo, è un ottimo “punto di partenza”. Su un disco di durata maggiore c’è il rischio di appiattirsi, e questo, ai Lamia, non lo auguro affatto.
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La recensione LAMIA di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-09-02 00:00:00
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