Chiedo scusa per il ritardo con cui mi accingo a presentare questa recensione. Era rimasto fra le mie cose fisiche, pratiche e mentali, ben nascosto ma per niente dimenticato. L’ho ritrovato poco fa e gli ho dato giusto il tempo di un rapido ascolto “refresh”; tanto che cosa scrivere lo sapevo già.
I Sunday Morning hanno un altro di quei nomi maledettamente impegnativi, che rischiano di legarti a riferimenti religiosamente sacri in un ambito di musica rock. Ma loro se ne fregano: rivendicano la propria indipendenza ed è buon motivo stupido suonare un ottimo indie-rock, registrarlo in modo decente e stamparlo su cd. Poi prendono un quadrato di cartone da scatola, grande come una copertina normale, con la spillatrice ci fanno aderire su un pezzo di stoffa appartenuta a chi sa quali orribili pantaloni estivi ed inseriscono lì dentro il proprio lavoro che parte alla volta di un paio d’orecchie, sperandole attente.
Il packaging è raffinata psicologia; psicologia inversa. Ben consci di quanto dietro a queste figure di critici musicali della domenica che siamo si celino in realtà caratteri infantili e feticismi da seconda media, usano la stessa tecnica che si usa coi bambini quando puntano i piedi: diamogli l’impressione di fregarcene di lui e questa calibrata noncuranza lo farà interessare a noi. Risultato: un cd ascoltato subito e rimasto a vagare nei meandri della memoria, con la voglia di ritrovarlo prima possibile.
Un indie rock, si diceva, che richiama nomi più che altisonanti come Pavement e Pedro the Lion dimostrando, oltre ad aver imparato la lezione, di saperla ripetere a proprio piacimento. Si sente dal respiro che questi pezzi hanno, nel loro saper concentrare lo stallo di certe inquietudini, per poi farle ripartire prima che ristagnino e diventino palude di suoni vischiosi (“He collapsed, suicide”, “Hiding Place”). Oppure nell’articolare certi intrecci di voce difettosi (“Look at stars”) che raggiungono il massimo dei voti proprio per il loro essere un inno a quest’impossibilità di perfezione (mai cercata, tra l’altro). La voce di Andrea Cola è giusta, registrata, sostanziosa. Sa quando esagerare e quando no: adoro quelli che pisciano di fuori quando è il caso proprio perché conoscono bene i momenti in cui evitare (scusate se è poco). Precisi e seri, non seriosi, psichedelici all’occorrenza ma col solo aiuto delle braccia e dei piedi, senza facili inserimenti postumi. Il loro stile denota un peso specifico raro in natura, una consistenza che solo le cose dense e leggere sanno avere. Unico difetto è un’energia non proprio equivalente nei pezzi in cui ci sarebbe da essere un po’ più gretti, un po’ più grunge (“Elephant”). Una cosa da poco, almeno se si tratta di doverla risolvere in studio.
Sono alla loro seconda registrazione nota, in attesa di pubblicare il primo disco sotto etichetta, ufficialmente rilasciato da Midfinger Records (One Dimensional Man, Anonimo FTP…). Parlare ne ho parlato; d’ora in poi aspetterò di sentirne parlare.
---
La recensione (sunday morning) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-06-22 00:00:00
COMMENTI