Un disco ben costruito questo “Light Blue” dei Levy: la voce è una lama tagliente, totalmente a suo agio mentre affetta con precisione le solide strutture create dagli altri strumenti e scivola fluidamente tra loro con sicurezza sovrana. L’ugola di Matteo Pagnoni è quindi in primo piano ma la sua forza è costituita prima di tutto dalla sinergia con le chitarre (suonate dallo stesso Pagnoni) e con la sezione ritmica formata dal basso di Damiano Cherchi e dalla batteria – in vero a volte un po’ offuscata o schiacciata dai compagni di banda – di Gianmarco Spaccasassi.
I suoni sono modernamente puliti e levigati da synth opportuni e mai invasivi, mentre gli arrangiamenti tendono piuttosto ad ispirarsi a certi episodi di new wave anni 80, facendo di questo “Light Blue” una specie di jam session immaginaria tra Franz Ferdinand, Police, Placebo e U2.
Le influenze sono insomma varie ma vengono mescolate con cura, benché non sempre il risultato sia completamente personale. La title-track, “Light Blue”, insieme al singolo “Beautiful Monsters”, pur mosse da stati d’animo ben distinti, rappresentano i momenti più ispirati dell’intero album e non lasciano dubbi sul motivo per cui la band marchigiana sia stata in grado di farsi notare anche all’estero.
Con questo disco i Levy hanno consolidato la loro scrittura trovando la giusta misura tra melodia, vitalità e quel retrogusto di nostalgia che rende più stuzzicante il tutto.
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