Correre e star fermi. Apparentemente due azioni diametralmente opposte, ma altresì vicine in una determinata collocazione temporale e semantica. È capitato a tutti di dover accelerare il passo per far presto, di attendere interminabili minuti perché giunti in anticipo, oppure, ancor peggio, di raggiungere un traguardo precocemente. Una fluttuante situazione di disagio e incertezza, esattamente come il dilemma che attanaglia Edward Bloom - protagonista di Big Fish - in seguito alla scoperta prematura della cittadinanza di Spectre. Quella stessa incertezza e precarietà di equilibrio la fronteggiamo osservando il funambolo sulla copertina di Soon, il secondo capitolo discografico dei Lags. Al contrario di ciò che possiamo immaginare l'illustrazione regalata dalla band romana - o meglio di adozione romana - infonde un certo senso di tranquillità: sì, siamo sospesi nel vuoto, ma vuoi grazie al connubio di colori caldi e tenui percepiamo un piacevole senso di serenità. Nonostante l'altezza la peripezia non è avventata, perché la sfida lanciata alla gravità è corroborata da una buona dose di positività e pacatezza. La nota sorprendente di questo disco è la mescolanza di micro-influenze che lo vanno a collocare fuori di alcuni passi dal filone classicista che predomina nel punk-hardcore. Pur condividendone l'architettura e gli stilemi classici, si avvertono variazioni che levigano i brani, rendendoli armonici a colpi di rimandi che toccano scuole musicali di decenni passati, spaziando dall'alt-rock più raffinato, fino al panorama indie - nella sua più ampia accezione - che predominava il periodo di fine millennio. Di tutti questi impulsi così variegati Soon ne ha fatto tesoro, ma senza giocare la carta della nostalgia e proponendosi come un'evoluzione improvvisa, assolutamente piacevole. Inutile dire che la melodia e la ricerca di essa crea un interessante intreccio con l'esplosività dettata dal dirompente impatto del post-hardcore. Prova di ciò è la traccia di apertura Knives and Wounds, che con il suo basso sferragliante ci introduce a un cantato rabbioso, ma deciso e rassicurante, caratteristica peculiare che ritroveremo in tutto l'album. Le dinamiche strumentali danno varietà ai brani, un movimento leggero che si libra tra malinconia, meditazione ed esplosioni sparse in qua e là, mine pronte a brillare nei momenti più inaspettati e in particolar modo durante i brani Showdown e Magic Bullet. Per chi fosse in cerca di pathos - e non solo di verve - può lasciar scorrere il disco tranquillamente nella sua interezza, ponendo l'attenzione su Echoes, I Still Remember e Second Thoughts. Una diramazione di affluenti che confluiscono in in degno e inaspettato epilogo; Il Podista - il cui testo è in italiano - racchiude tutto quel senso di precarietà, attesa e sconforto che si legano nel bene o nel male al significato globale di «presto». Una condizione di eterno secondo, non per incapacità, ma per la brama di bruciare le tappe, immerso in un eterna corsa che fa perdere la cognizione dei luoghi e del tempo, lasciando il protagonista in bilico tra il risultato e la sconfitta e un buon punto di riflessione per l'ascoltatore.
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