A prima vista tornano in mente Meds dei Placebo e Klavierwerke di James Blake per la scelta di una persona in movimento e volutamente sfocata nella copertina del disco. Ascoltando poi l’ep di cinque brani de Il Ragazzo Del 99, che in realtà sono quattro e sono, più che del ‘99, del 19(90), si scopre che i cinque brani che compongono il disco affrontano temi pesanti: depressione (nella title track), accoglienza dei migranti (Cristo è blu, ripreso dall’ep precedente ma con una contaminazione di chiitarre shoegaze e l’aggiunta del violino), di un mondo apatico (Rabbia) e della noia. I toni del disco sono scuri come i giorni di cui si canta in “Quello che ci siamo detti”. Giorni neri, scuri, che contengono però anche delle aperture quasi celestiali à la Sigur Ros, però dilatati in pieno stile shoegaze.
È interessante notare come la concezione di “indie” si sia ampliata nel tempo. Infatti, in un gruppo di quattro ragazzi che si definiscono come appartenenti a questo genere, troviamo meno chitarre in stile indie rock (qualcosa di più in Rabbia, un arpeggio nella traccia di chiusura), voci e suoni che oscillano tra dream pop (Quello che ci siamo detti), elettronica più dark e sfumature shoegaze.
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