Volendo prenderla alla lontana bisognerebbe partire dai primi anni ’70, quando, sull’onda della diffusione degli strumenti elettronici, il grande pubblico cominciò a conoscere un nuovo universo di suoni sintetici. Certo una copia di “Dark Side of the Moon” poteva arrivare in tutte le case, ma per produrla occorrevano pur sempre attrezzature megagalattiche e studi di registrazione sinistramente simili ad astronavi interstellari. Sembra sia passato un secolo, tanto che oggi quella stessa tecnologia ha costi, dimensioni e praticità d’uso che le consentono una diffusione anche presso il ragazzo qualunque e, perché no, anche ai musicisti da garage. Basta un laptop, un paio di software crackati, un mixer... Fate voi il conto in euro, ma con un paio di mensilità di stipendio si arriva a comprare tutto ciò di cui si ha bisogno.
Gli In My Room sono un gruppo del genere. Negli anni ’60 avrebbero suonato in un garage laido con chitarre sgangherate. Negli anni 2000 suonano in un garage altrettanto laido, ma al posto delle chitarre hanno a disposizione un laptop, un basso e un violino che, per quanto sgangherati anch’essi, fanno una ben diversa figura. Se anche gli In My Room si inseriscono nel filone del glitch-pop portato in auge da Mùm e Lali Puna le loro fonti vanno molto più indietro nel tempo. Non è un caso che abbia tirato in ballo i Pink Floyd perché spesso sono proprio loro che vengono alla mente durante l’ascolto. L’intuizione geniale è quella di far convivere l’intensità emotiva di Syd Barrett con gli arrangiamenti sofisticati di Alan Parsons lasciando da parte i vari Gilmour, Waters, ecc. L’autore del materiale, Marco Monica, parte indubbiamente da una prospettiva cantautorale (leggi Nick Drake), ma pone la propria chitarra e voce in posizione defilata lasciando emergere di volta in volta suoni che rimescolino le carte: una voce femminile, un basso “tedesco”, accenni synth-pop, interferenze glitch, strati di tastiere levigate e, soprattutto, il violino di Deborah Penzo, l’elemento che più di tutti conferisce alla musica una pregnanza ben al di là della musica di consumo.
Il risultato è un misto di psichedelia, cantautorato, elettronica moderna e nostalgia romantica che ha pochi paragoni nel panorama contemporaneo (e di certo non in Italia). E se anche non nutro una particolare simpatia per nessuno dei musicisti citati nel paragrafo precedente (a parte Barrett, ovviamente), nutro una grande simpatia per chi realizza buona musica, indipendentemente dal genere o dalle fonti. E per chi realizza cd che valga la pena di ascoltare dall’inizio alla fine. E per chi queste cose le fa in proprio senza l’ausilio di produttori o case discografiche di grido. Insomma nutro una grande stima e simpatia nei confronti degli In My Room, della loro etichetta SuiteSide e dell’ultimo disco che hanno prodotto, che assieme ai lavori di Allun e Jennifer Gentle, è quanto di meglio ho fino ad ora ascoltato in Italia quest’anno.
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La recensione Saturday Saturn di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-07-03 00:00:00
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