Creare un disco di musica interamente strumentale comporta una serie di difficoltà aggiuntive, rispetto alla composizione di un disco che preveda l’utilizzo della voce. Quest’ultima, infatti, tende a catalizzare l’attenzione degli ascoltatori; una voce curata permette di far passare in secondo piano una musica non esattamente memorabile. In un disco strumentale questo non si verifica, e di conseguenza le eventuali problematiche musicali saltano subito all’orecchio.
È questo il caso di Eternal Journey? Sì e no. Nel corso del disco, i brani che più si fanno apprezzare sono quelli in cui emergono le capacità di pianista di Zephiroom (al secolo Gianluca Rizzo): lì si rivela la qualità sia della composizione che dell’esecuzione, e tracce come “Delicacy” e “Resistance” sono tra i momenti meglio riusciti dell’album. Il disco diventa però meno convincente quando emerge il suo lato prog-sinfonico: le numerose divagazioni elettroniche, per quanto anche singolarmente apprezzabili (“Sunrise”), non riescono a costruire un’atmosfera che coinvolga l’ascoltatore, risultando prive di mordente.
In definitiva, un disco non memorabile, ma che senz’altro può fornire un piacevole tappeto sonoro sul quale far danzare i propri pensieri durante una serata di relax.
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