Gli Eugenio in Via di Gioia ormai sono una certezza per quell’indie-pop contemporaneo che funziona, che fa riferimenti al presente e lo intreccia con le relazioni personali, alle domande esistenziali e senza risposte (“e in tutto questo presente noi fatichiamo a definirci” in “Lettera al prossimo”), sconfitte e fallimenti (“cala la notte sulla terra e io continuo a pensare di aver vinto la guerra ma poi non riesco a dormire”) che si mischiano con l’ironia e i giochi di parole. Gli Eugenio in Via di Gioia sono quelli che collezionano sold-out, che suoneranno al concertone del primo maggio a Roma e al MI AMI il 24 maggio.
“Natura viva” è il loro ultimo lavoro e, lo dice il titolo, è recupero del contatto con la natura, in un nuovo equilibrio con l’uomo, dove la natura stessa è metafora del presente, presa come punto di riferimento per recuperare i valori davvero importanti. Così “Altrove” e “Albero” la elogiano senza mezzi termini: la prima è il perdersi “altrove, a un passo dalla città, chissà dove”, ma certamente in un posto dove non arrivano mail e messaggi; la seconda, man mano che si ascolta, sembra disegnare i contorni di un albero, aggiungendo dettagli e facendolo diventare immagine del cuore. “Cerchi” segna il punto di svolta, perché l’immagine della lumaca che “non sa se credere al di là del proprio guscio” diventa l’incapacità di capire cose troppo grandi e di vedere oltre.
Quello che davvero rende importante questo disco, infatti, è la sorprendente capacità di parlare di vita vera partendo da elementi che apparentemente non c’entrano niente, l’agilità nel saltare dalla natura all’uomo, nel porre domande esistenziali con un ironico sorriso amaro sulle labbra.
Tra ritmo incalzante, domande e risposte, “Inizia a respirare” fa di Re Mida la metafora di quella tendenza distruttiva che dà valore a ciò che non è realmente importante, e così il buon re perde la sua chitarra, la sua passione, il suo cane, la sua famiglia e sua figlia, accecato dalla lucentezza dell’oro; l’incipit di “Cerchi” è eloquente, con il suo “ho paura della morte, io non la conosco, io non l’ho mai vista in faccia”. È un gioco di parole tra verbo e sostantivo, è l’idea di non saper guardare oltre la bidimensionalità, ché tu “cerchi dappertutto, ma la non vedi la sfera”.
“Pace all’anima”, invece, parte dalla leggenda dell’Eden, da Adamo ed Eva che diventano immagine del presente, in cui un Adamo-uomo moderno trova lavoro, mette su famiglia, si costruisce una vita ordinaria e, anestetizzato dalla normalità, perde ogni desiderio, perché “senza l’inferno il paradiso non ha più seduzione”. E ne ha anche coscienza, quando si rivolge a Eva dicendole che “tu eri la curiosità che ci ha reso mortale, ci aveva distinto dal regno animale, ma forse si è estinto quel desiderio che soltanto pareva peccato originale”.
C’è ancora posto, infine, per la pirandelliana “Il tuo amico il tuo nemico tu”, dove un cielo arancio confonde alba e tramonto, che è lo scagliare una pietra addosso al nemico e sentirsi colpiti alla nuca, ché il nemico in fondo era proprio se stesso (“il tuo amico, il tuo nemico, tu: la stessa persona”), “perché talvolta il mondo dentro la propria testa è talmente piccolo che guardando laggiù ti sei visto la schiena e girandoti indietro ti sei voltato le spalle”.
“Il fine e la luna” l’ho lasciata per ultima, perché anche se è perdita dei punti di riferimento, l’illusione di sentirsi vivi incolpando altri per i nostri fallimenti, offre una soluzione nell’immaginazione, ché anche chi non l’ha mai vista, la luna può inventarla e immaginarla e disegnarla al centro della tela.
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