Achille Lauro
1969 2019 - Rock, Rockabilly, Trap

1969
22/04/2019 - 13:37 Scritto da Vittorio Farachi

Quel simbolista di Lauro crea un album denso di riferimenti puntuali e accennati che costruiscono un'immaginario originale. Non è un punto d'arrivo, ma qui siamo davanti a due pionieri.

Nel 1969 l'uomo arriva sulla luna, ad Hyde Park 500.000 dicono addio a Brian Jones e Jim Morrison viene arrestato sul palco per oltraggio alla pubblica morale. Cos'altro succede nel 1969? La guerra fredda, la guerra del Vietnam, l'apartheid. In Italia cinque bombe, quell'anno, cambiano la storia del nostro paese. Questo per dire che, intanto, idealizzare il passato non tiene quasi mai conto di quello che per fortuna abbiamo lasciato dietro. Ma il fatto stesso che il passato venga idealizzato, forse e soprattutto in questo caso, annulla il problema della storicizzazione. Perché non conta tanto com'era il '69, quanto l'idea stessa del '69 e basta.

L'ultimo album di Achille Lauro e Boss Doms segna un nuovo punto della ricerca stilistica del duo. Dopo l’iniziale narrazione della provincia in evoluzione fino a "Ragazzi Madre", già con l’ultimo "Pour L’amour" trova nuove strade e contaminazioni, come l’elettronica, la techno e, su tutte, la samba. In un disco che ha più strumenti che mano del producer l'impianto di Boss Doms rimane comunque forte, tanto che ce lo vedo a spiegare al batterista come vuole sentire il Ride sull'attacco o quale accordo deve fare il chitarrista. La parola genio ultimamente è un po' troppo sperperata, ma con lui ci siamo molto vicini.

 La declinazione, soprattutto stilistica, di "1969" è la più diversa rispetto ai precedenti album, facendo tautologicamente riferimento quasi esclusivamente al 1969. In realtà no, perchè c’è il glam rock dei Motley Crue, c’è l’elettronica di Kavinsky come ci sono le chitarre accennate del primo Calvin Harris, tutta roba che col ’69 c’entra na sega, ma non importa. Qui torna il discorso dell’inizio, il fatto che non sia tanto il 1969 ma il modo che Lauro ha di vedere il 1969. L’infinita mole di citazioni, che in pezzi come "Sexy Ugly", forse una delle più riuscite dell'album, occupa interamente il testo, è interessante in quanto rappresenta la fascinazione dell’autore per l’universo di riferimento che quegli oggetti anno. Non sono solo parole buttate a caso, ma la chiave d’accesso ad una serie di idee e microcosmi culturali che nell'insiemistica di Lauro disegnano il gigante puzzle del suo nuovo immaginario.


A questo però va aggiunto che tutto questo ora è interessante, ma non verrà perdonato in un prossimo album. Achille Lauro è in un percorso di indagine su se stesso, sulla sua generazione e sulla sua musica. Tutti gli artisti lo sono, ma se il rock è un genere che viene esplorato da più di mezzo secolo quelli della trap oggi sono dei pionieri. Immerso com'è in una riflessione che forse è più grande di questo album gli è ancora concesso usare le definizioni di altri per dire la propria. Perché di questo si tratta: come dire Baudelaire è un modo per sintetizzare ciò che il decadentismo francese ha scritto e aperto, dire Fendi nella stessa frase è un modo per far coesistere il consumo e l’estetica e l’apparenza con lo spleen e il romanticismo, usando entrambi gli emisferi come sintesi di una riflessione complessa ed estramemente attuale, nonchè probabilemtne più a fuoco di quanto non possiamo pensare. Ma un artista non può solo appoggiarsi su ciò che è stato detto prima. Se Baudelaire è un modo per definire un modo di vedere il mondo e Fendi un modo per esperire quel suo mondo stesso, mi aspetto che sia Lauro a mettere insieme i punti e non lasciare che sia io decifrarlo. Va bene quindi la simbologia, ma non è sufficiente. Perché Achille Lauro è in grado di fare di più, e il momento in cui riuscirà a raggiungere quel grado di completezza, allora davvero ciao a tutti. 

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