"Sukate" dei Ponzio Pilates è la testimonianza perfetta dell'estrema versatilità ed eclettismo del gruppo, e saprà conquistarvi grazie alla continua decostruzione delle vostre aspettative.
Ogni tanto capita di dover recensire un album più particolare del solito: certi dischi non vogliono saperne proprio niente di rientrare nelle classificazioni e nelle forme standard in cui siamo abituati a pensare le canzoni. “Sukate” dei Ponzio Pilates fa sicuramente parte di questa categoria. Ad un primo impatto, infatti, l’approccio del quintetto sembra orientato alla musica demenziale, vuoi per la scelta del titolo, vuoi per una certa atmosfera che si respira nel disco grazie a brani come “Insalata”, inno generazionale per tutti gli irriducibili sostenitori del consumo alimentare di carne.
Ma quello della demenzialità non è l’unico aspetto, e nemmeno quello prominente, di un album che è tutto meno che un semplice dischetto per farsi quattro risate. Le influenze e le commistioni sono molte e onnipresenti. Tutto inizia con l’apertura di “Disagio e camagra”, un afrobeat impazzito che viaggia a cento all’ora; ci sono poi contaminazioni elettroniche che sfociano in ritmi da liscio in balera romagnola (“Sukate”), omaggi al k-pop spruzzato di vaporwave (“Watashi”), Santana con qualche grammo di anfetamina di troppo (“Figamalapena”), e per concludere l’house progressive di “Ciocobiscotto”.
Leggendo le righe sopra, potreste pensare alle nefaste conseguenze di un colpo di sole. Rifiuto questa chiave di lettura e rivendico quanto scritto, aggiungendo: questa estrema varietà è proprio l’aspetto migliore del disco, e il motivo per cui dovreste andare a sentirvelo. La lucida assurdità di ogni scelta giustifica l’intero “Sukate”, e il suo ascolto potrebbe farvi riflettere sull’idea che avete di “fare musica” e sulle vostre aspettative ogni volta che decidete di confrontarvi con un nuovo disco.
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La recensione Sukate di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-07-27 12:40:03
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