“Qui in diretta da Sant’Ilario convegno contro la cannabis al 45’ sta per rientrare una mamma ci porterà la sua fondamentale… TESTIMONIANZA!!!”
I Bravi Tutti sono una punk band piacentina, -un’insulsa provincia emiliana ricordata esclusivamente per del salame e l’aglio (a quanto pare buonissimo) che non credo sia distingua poi tanto dall’ancora più inutile provincia lombarda nella quale vive il sottoscritto- quando si chiedono se il loro ultimo lavoro “è abbastanza punk rock” (nel senso che proprio s’intitola così) forse si riferiscono a quella venatura pop e “maxpezzialiana” che in fondo attraversa questo genere da anni.
Quando andavo alle superiori, a Saronno, si svolgeva una della manifestazione punk più importanti della regione, il Festoria, ad una delle ultime edizioni si esibirono degli sbarbatissimi FASK, ma la fine della rassegna fu decretata dalla presenza dei Finley, accolti con degli striscioni ben poco accoglienti. Poco importa, la musica dei Bravi Tutti è una sinestesia che sa di “soldatino”, il Campari nelle bottigliette di vetro piccole con cui si fa la gara nelle peggiori bettole della Brianza con gli amici del fantacalcio, sa di macchinata per il concerto delle Porno Riviste con i fratelli maggiori e di fumo copertone, sa di band che vedi per caso al Telos, il centro sociale della città degli amaretti.
E con questo voglio dire, io non sono mai stato un punk, non ho mai avuto la cresta e, a differenza di tanti miei sodali, non mi sono mai sfondato le cuffiette di Blink e Green Day (per Dio!), ma per questa recensione è il caso di scomodare un’altra figura retorica: la band piacentina è l’epifania di un’epoca che fu e coincide con i miei anni al liceo.
Poi mentre ascoltavo il loro album stavo fumando, “L’erba della morte” è “Canapa” dei Punkreas a diciassette anni di distanza raga. Sono divertenti, e i loro ritornelli rimangono in testa. Hanno vinto.
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