Ispirati da Asimov, i Kettle of Kites propongono con il loro “Arrows” uno dei possibili punti di vista sul futuro dell’umanità, in viaggio verso altri pianeti
Tanti artisti – narratori, registi, musicisti, pittori… – hanno immaginato come sarà il giorno in cui saremo costretti a lasciare questo pianeta (magari perché intossicato dai rifiuti) e dovremo cercare il nostro nuovo mondo nello spazio infinito.
I Kettle of Kites con il loro secondo lavoro sulla lunga distanza, “Arrows”, traendo ispirazione dalla scatenata immaginazione e gli spunti di riflessione di Isaac Asimov sulla condizione umana, hanno dato vita alla loro visione di questa fuga dei terrestri nel cosmo, raccontandola in nove diversi brani-episodi che fondono nella metafora fantascientifica uno sguardo profondo fino alle radici del genere umano.
Prima dei viaggi nello spazio a bordo della propria musica, la band stessa nasce cosmopolita: il frontman Tom Stearn è scozzese e si è trasferito a Genova, città in cui vive anche il bassista Pietro Martinelli; il chitarrista Marco Giongrandi è italiano e vive a Bruxelles, il batterista Riccardo Chiaberta è italiano e vive a Londra. Le nazioni d’Europa si fondono così nella musica dei Kettle of Kites rendendo sottilissimo il filo che le separa tra loro e che, nella loro musica, separa la nostra Terra dagli altri pianeti.
Per rendere in musica tutto questo, l’organico strumentale del gruppo si arricchisce di strumenti come la chitarra resofonica o il banjo, che affiancano gli strumenti classici degli ensemble rock, ma soprattutto i brani non seguono modelli prestabiliti e prendono piuttosto forma intorno ad un’idea, sviluppandosi su ritmi inconsueti e alternando, lungo tutto il disco, momenti pacati e momenti più concitati, futuristiche evasioni elettroniche e acustiche divagazioni “medievaleggianti”.
L’art-rock dei Kettle of Kites attraversa idealmente le sperimentazioni di Sting e dei Fleet Foxes, dei Radiohead e di Brian Eno, dei Grizzly Bear e dei Mogwai, raggiungendo un risultato originale che, in questo disco, tocca i punti di massima resa nel chorus battente di “Lights go out”, nella splendida e irrequieta “Orchid” e nella conclusiva e ipnotica “Oliver”.
Un punto di vista creativo e ispirato sul futuro dell’umanità.
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La recensione Arrows di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-07-17 12:11:15
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