“And you can’t build the night” di Diana è un disco onirico, un esordio già maturo per un’artista raffinata ma pulsante di passione
Il destino ci fa parlare di questo disco proprio in occasione del cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna e non sembra casuale. L’esordio su lunga distanza di Diana, al secolo Roberta Arena, intitolato “And you can’t build the night”, è infatti la colonna sonora perfetta per una passeggiata sul nostro solitario satellite, con una gravità leggera che ci fa fluttuare passo dopo passo su un terreno roccioso ma biancheggiante e soave, candido e puro.
Questa versione di “And you can’t build the night” che possiamo ascoltare oggi è in realtà lo sviluppo dell’ep che lo ha di poco preceduto (e che portava lo stesso titolo). Ai cinque pezzi dell’ep Diana ne ha qui e aggiunti altri quattro, dando forma ad un album tanto frammentario per la sua nascita dilatata nel tempo quanto coerente e unitario per la direzione intrapresa.
Quello di Diana è insomma un esordio abbastanza atipico: già consapevole, già preciso nelle sue costruzioni sognanti che sciolgono un’anima pop in un ricco cocktail elettronico, già meticoloso nel mescolare sapori e sfumature diverse, tanto da tradire una gestazione lunga, elaborata, appassionata, che ha permesso di raggiungere questa dimensione di dream pop elegante ma non snob, algido nei suoni ma non privo di passione nelle melodie e nei testi.
Diana-Roberta Arena (che però dal vivo si avvale anche del contributo di Sonja Burgì ai synth e cori) ci propone insomma un debut album dal sound già maturo, che proietta in una visione che riusciamo a riconoscere per forme e colori ma che pure si manifesta eterea e impalpabile, proprio come nei sogni o come una immaginaria passeggiata sulla Luna.
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La recensione And you can't build the night di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-07-20 14:34:07
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