Sembra un manuale del pop questo esordio autoprodotto dei lombardi Annie Hall: mantenendo con continuità dei toni soffusi ed eleganti, la band propone in questi cinque pezzi melodie non banali e strutture sfocate che spesso non seguono il comodo modello strofa - ritornello - strofa: chiari esempi l'iniziale "Secret World", in cui un portamento sonoro alla Jeff Buckley viene diluito in strutture vagamente slo-core, e "Blindness", in cui atomi di Kings of Convenience vengono rarefatti nel nulla.
Non mancano comunque episodi più lineari e carichi di urgenza espressiva, come "Ghosts' Legs", che risente parecchio dell'influenza di certo pop lo-fi americano degli anni '90, Eels (non solo per xilofono e affini) e Smog in primis, o "More Than This", che accelera il ritmo e riesce a smarcarsi da pesanti paragoni, restando comunque evidente l'influenza sia di certo indie rock dello scorso decennio sia, soprattutto, di certo pop britannico (un Badly Drawn boy più sicuro di sè?!).
Si espandono nuovamente i confini nella conclusiva "Ashes", in cui il solito Jeff veste saltuariamente i panni di un Layne Staley più dimesso del solito, certo non si tratta di grunge, ma le tinte si fanno di certo più ruvide e ostili.
Che dire, tra i cinque pezzi di certo due sono davvero buoni ("Secret World" e "Blindness"), ma da un ascolto complessivo non riesce a emergere una personalità forte del gruppo, manca quella scintilla che fa riconoscere una band sin dalle prime note: forse ancora indecisi tra il colpire o il cullare l'ascoltatore con la propria musica.
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