Il petricor è “l’odore della pioggia a contatto con la terra”, perciò, avendo scelto questo moniker, si intuisce già che l’ispirazione di Alessandro Nevola (chitarre), Gaetano Busciolà (chitarre), Salvatore Cavallaro (basso) e Gianluca Cariati (batteria) – appunto i Petricor – va oltre la musica e si ciba di percezioni che viaggiano lungo tutti e cinque i sensi.
La conferma giunge con questo primo ep, “First breath”, che i quattro pugliesi hanno pubblicato ad inizio estate per la Fluttery Records di San Francisco. Il dischetto di sette brani (o meglio sei pezzi più il remix dell’opening track) tra post-rock e psichedelia, effonde l’odore dolciastro e pungente della pioggia e ne evoca la carezza lieve sulla pelle e la dissetante freschezza sul palato, mentre gli ondeggianti colori delle aurore boreali danzano nel cielo (perché i nostri sono sì pugliesi, ma i loro suoni hanno geni provenienti dalle fredde terre del nord, quasi fossero dei Sigur Rós più caldi e inquieti).
Il primo singolo estratto, nonché brano d’apertura, è “8”, in numerologia simbolo del destino e dell’infinito, del ciclico incedere della vita in cui nulla termina ma tutto cambia, e il disco si chiude infatti con lo stesso brano remixato e ribattezzato “Super8”, evidentemente perché dopo questo “primo respiro” la band ha intenzione di continuare ad evolversi guardando sempre più lontano.
Gli intenti ipnotici di questo “doppio brano”, con quelle quattro note che si rincorrono all’infinito sullo sfondo mentre al centro si svolge una storia fatta di scene molteplici e multiformi, in tensione crescente, si rinnovano anche nelle altre tracce, dalla più cupa “People”, la cui esplosione finale si spezza violentemente terminando in un frontale contro il silenzio, alla più “cavalcante” “Unbroken horses”, in cui dietro le pelli sembra davvero esserci un cavallo imbizzarrito che procede ininterrottamente e ostinatamente per la propria strada, forse “correndo con i propri mostri”, come nel testo della title-track, unico brano in cui una voce parlata declama parole in inglese con uno spoken word tra delirio onirico e illuminazione.
Un primo lavoro decisamente sorprendente che, pur non discostandosi molto dai capostipiti del genere, tra Explosions In The Sky, God Is An Astronaut e Mogwai, mostra l’ardente personalità del combo barlettano in grado di accendere impetuosi falò anche nella neve.
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