Il primo lavoro solista di Jack Adamant, “Lunch at 12 since ‘82”, aveva già marcato l’indole convintamente vintage dell’artista italiano trapiantato in Svezia, e questo nuovo capitolo, intitolato “Unkind”, conferma ancora una volta che il cuore di Jack è sincronizzato con pulsazioni Nineties soprattutto di matrice rock.
La musica di Jack Adamant sembra nascere in particolare nel giardino dell’indie rock, in cui il nostro sceglie i fiori dalle tonalità più opache per abbinarle alle sfumature dell’uggioso tramonto che si staglia intorno, e ne tiene insieme gli steli intrecciandoli con le corde di nylon della sua chitarra, che nel primo lavoro si era destreggiata in intimi arrangiamenti acustici e che invece in questo nuovo lavoro comincia a tirar fuori le unghie, tra distorsioni e riff graffianti. Le trame disturbate e acide di “Unkind” mantengono comunque un forte appeal melodico grazie alle scorribande allucinate di un pop sbilenco che fa bagordi con un già ebbro folk finendo per esplodere sulla miccia del rock generando scintille.
L’introduttiva “A gap in the sun” è già un perfetto sunto dell’inclinazione dell’artista a privilegiare interpretazioni vocali sofferte, solide chitarre e fervide ritmiche, ma è con la title-track che Adamant mette in campo tutte le sue carte migliori, che lo avvicinano ai vari Dinosaur Jr, REM o Sonic Youth e gli permettono di tenersi ben lontano da seghe mentali e inutili orpelli. In “Unkind” vince insomma l’autenticità ed è un piacere che si rinnova un ascolto dopo l’altro.
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