Non si rimane indifferenti al pop quando è praticamente perfetto, procedendo a colpi di semplicità. La prima prova di Scacco – prodotta da Matteo Costanzo (Wrongonyou, Ultimo, Briga), Giuseppe Taccini e Leo Pari – è piacere per le orecchie; quel che si dice un bel disco di un bravo autore, da celebrare sull’altare del “dio hype”. Si tratta di un’opera che regala empatia ed estro compositivo ad una scrittura che, in periodi di sovraesposizione al cantautorato pop, potrebbe rischiare il manierismo per l’incontrovertibile legge dell’abuso. Scacco utilizza un linguaggio personale, mai laccato, iper-realista; ci parla di vissuto consapevole, elevazione, riscatto. Che dietro ci sia qualcuno in grado di spingere bene l’album si intuisce, ma il talento dell’artista è innegabile.
Detto questo, “L’inizio del viaggio” è il momento in cui il protagonista esce fuori dal mondo per entrare profondamente nel mondo; è un percorso interiore che lo vede chiudersi in sé stesso e comporre, circondato dai suoi giocattoli musicali. Scacco ci parla del mantenimento economico del musicista, del rapporto dinamico tra la funzione “cantautore” e la funzione “sopravvivenza nel mondo reale” (“Impellenza”, “Vasco a Sanremo”, “8.40”, “Major”); rigira il coltello nella piaga, con amara comicità e asciutta malinconia, in “Sono vivo” e “Ho capito che va tutto bene”; rende la scrittura un percorso vitale che si fa sangue nelle vene in “Come il giorno di Natale” e “L’inizio del viaggio”. Dal punto di vista delle sonorità flirta con il rock, la canzone d’autore, il pop; crea interessanti atmosfere attraverso impennate di groove e sfumature più acustiche.
Che dire di più? Il disco di oggi è un’opera ben compiuta, fatta di belle canzoni e la chiudo qui. Rappresenta proprio l’inizio di un bel viaggio.
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