Un disco cupo e scuro per amanti del genere black-metal
Dalla città di Parma arriva LuZi a presentarci un album per nulla facile, che potrebbe svelare il suo fascino cupo e magmatico a chiunque fosse in cerca di qualcosa che vada oltre la melodia. I pezzi del disco sono racconti popolari, storie locali e mitiche, in dialetto parmigiano, che si presentano come riti ancestrali dalle atmosfere misteriose. Le sonorità sono figlie dell’evo e dell’immaginario black-metal che viene refrigerato e reso opprimente da una strumentazione in grado di congelare il respiro. LuZi arriva e spiazza, provocando un certo disturbo: canta in modo volutamente incomprensibile, quasi marcio dentro, ma è sorretto da un disperato amore per il suono dark e le sue deformazioni, a cui si aggiungono spinte folk-blues. Di certo questo one man band project non ci presenta musica per tutti i palati e per tutti i momenti.
In una dimensione rivolta al trascendente, attraverso racconti di vicende suggerite dal contatto con una cultura locale, ci si immerge in una tetraggine quasi malefica (“Chilù”) dalle screziature metalliche che sconfinano in tenebrosità (“Satiri e ninfe in Val Ceno”). L’inizio conciliante, in cui si annida il seme di una decadenza vestita in abito scuro (“Roccalanzona”), poi fa strage di anime perse da accarezzare nella foschia dell’oblio (“Pietracorva”, “Dedlà da l’acua”). Le voci flottanti, i sospiri sinistri, l’irruenza e la telluricità di “Fumara”, conducono alla fine dell’album, tra stralci etnici e melodia che appare sempre più disdegnata (“La lon’na”, “Verdi è morto”).
Il disco attrae tutti i predatori di oscurità, calamitati dalla cupezza di fondali misteriosi e sinistri, ma di certo disturba chi è spaventato dal buio uniforme degli abissi.
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La recensione LuZi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-09-15 12:11:53
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