Il primo album dei Noam Bleen, pur mantenendo i ponti con i rocciosi lidi del precedente ep sperimenta maggiormente l’approccio melodico, ponendo adeguati riflettori sulle linee vocali e una proposta maggiormente lisergica.
Macomer, anno del Signore 2016. E’ qui che, di fatto, inizia l’avventura dei Noam Bleen. Cosa singifica? La spiegazione ce l’ha data lo stesso membro fondatore del gruppo, Antonio Baragone: “Bleen lo lessi per la prima volta su un multieffetto della lexicon, il vortex, e dopo lessi il significato che mi intrigò assai. Noam lo rende uno pseudonimo, giacché Bleen è un predicato nominale creato da un filosofo del linguaggio, Nelson Goodman, il nome non poteva che essere di un altro illustre collega, Chomsky. Mi piaceva l'ambiguità insomma, potrebbe essere chiunque e nessuno. noam puoi leggerlo anche come no-one in un certo senso”. Insomma, è un nome che si presta a diverse chiavi di lettura. Tuttavia la loro musica non lascia scampo, non c’è ambiguità, non c’è modo di intenderla diversamente da quello che è: decisa, determinata, a tratti tosta, con riferimenti ben precisi ma, a volte, ben celati.
Se il primo, omonimo ep del 2016 “Noam Bleen” risulta essere un caleidoscopico collage in cui echeggiano sonorità e istinti di una America anni ’90 arrugginita e livida dell’alternative rock di Helmet, Hum, Failure e A Perfect Circle, “Until The Crack Of Dawn” smussa leggermente gli angoli e risulta essere un pizzico più disteso ma non per questo meno rock ‘n’ roll. Tutto cambia quando Antonio Baragone (voce e chitarra, unico superstite del marchio) si trasferisce a Ravenna dove incontra il polistrumentista Nick Bussi. I due iniziano un sodalizio fatto di cartelle dropbox, scampoli in sala prove ed un inossidabile impegno che per mesi li porta a curarsi di ogni dettaglio inerente a quello che poi diventerà il loro primo album, “Until the Crack of Dawn” appunto, che pur mantenendo i ponti con i rocciosi lidi del precedente capitolo sperimenta maggiormente l’approccio melodico, ponendo adeguati riflettori sulle linee vocali (cinque pezzi cantati da ambedue i musicisti) e una proposta maggiormente lisergica. Cambiano gli schemi di riferimenti, le loro atmosfere richiamano, non sempre in maniera limpida, tantissimi artisti, dai Pink Floyd ai Radiohead passando per Soundgarden, Jeff Buckley, Pixies, U2, Incubus, Deftones e persino i compositori Vangelis e Angelo Badalamenti. Referenze che, per quanto ricercate e ricche di dettagli, non scadono mai nel plagio. Come non riconoscere, per esempio, nella traccia d’apertura “Feeling Bleen” il sound tipicamente floydiano? Oppure la grandeur chitarristica dei Radiohead del periodo di “The Bands” in “Blue Mist Road”, con un tocco di Buckley ? “Opera House” ha un piglio post punk nelle ritmiche mentre, in “Memory Lane”, fanno capolino gli U2. “As Of Yore” è una bomba a metà strada tra Incubus, Soundgarde, Deftones e, perché no, un pizzico di Linkin Park . Notevolissimo lo showgaze della title track “Until The Crack of Dawn”. Non mancano momenti più rilassati e malinconici, catalizzati nella struggente “Screenshot” o nella languida “White Shirt” che chiude l’album.
“Until The Crack Of Dawn” è , senza timore di essere smentiti, un lavoro notevole, con alle spalle una produzione altrettanto notevole. Come abbiamo già detto poc’anzi, i numerosi riferimenti musicali, non scadono mai nella scopiazzatura bensì vengono rielaborati autorevolmente dando forma ad un sound unico, ricercato e ricco di dettagli. La scrittura, sebbene semplice e lineare, non scade mai nella banalità ma risulta essere, a larghi tratti, decisamente intimistica. E’ un disco pensato, strutturato e plasmato al di fuori dalle logiche di mercato ma fatto con cuore, passione e consapevolezza nei propri mezzi. Pensata nei dettagli anche la copertina, che ritrae un uomo intento a guardare le prime luci l’alba, a differenza della copertina dell’ep dove l’uomo era intento a fissare un cielo plumbeo e distante, ha un significato potente e preciso al quale i membri della band sono molto legati: un'intera esistenza vissuta come una notte in bianco, in attesa di un'alba che non arriverà mai.
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La recensione Until the Crack of Dawn di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-10-13 17:11:00
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