Giungono al terzo lavoro sulla lunga distanza i veneziani Mr. Wob & The Canes, che avevamo già apprezzato con il loro debut album, “Invitation to the gathering”, e con il successivo “The ghost of time”. Alla calda e ruvida commistione di suoni del sud del mondo trapiantati in sud America e sciolti insieme ad uno speziato background fatto di jazz, di rock, di gipsy folk e molto altro eravamo quindi già preparati. Questo “Not your negro” però va ancora oltre, supera con naturalezza i confini dell’“old blues” dei primi due dischi e raggiunge una forma nuova, una “zuppa di radici voodoo” (come loro stessi definiscono il loro genere: “Voodoo roots stew”) ispirata certamente ai suoni delle popolazioni afroamericane di più di un secolo fa, ma che si presenta ancora attualissima a ridosso degli anni ’20 del terzo millennio grazie alla modernizzazione che la band fa (soprattutto nei testi ma non solo in quelli) mostrando il filo rosso – o in questo caso sarebbe meglio dire il “filo nero” – che lega l’epoca della schiavitù delle popolazioni africane e della nascita del blues con la schiavitù che ancora oggi, sebbene sotto una nuova e non meno scabrosa veste, è diffusa in tutto il mondo.
D’altra parte l’ensemble ci aveva avvisati già tramite il sito ufficiale che “nuovi colori tingeranno il sound, oltrepassando sia il suono rustico del primo album e le sonorità più earthy e gospel del secondo. Inevitabilmente l'assenza del basso, il raddoppio dell'apparato percussivo e l'ingresso di una chitarra effettata ci han trascinato verso nuove dimensioni più drammatiche”.
E queste “dimensioni più drammatiche” infatti si traducono in un suono ancora più caldo e trascinante che trova anche nei testi la propria consacrazione. Già il titolo, “Not your negro”, riporta alla mente un documentario di Raoul Peck intitolato appunto “I am not your negro” con protagonista lo scrittore James Baldwin, da sempre impegnato nella lotta al razzismo e infatti è evidente che i temi di questo album fondono racconti a tinte ocra, ruggine e fango con suggestioni legate alla storia, alla politica e all’attualità e lo fanno attraverso il magico tocco dell’arte che non dice ma mostra, costruendo scene, episodi, momenti quotidiani che hanno il compito di far riflettere. Così in questi dieci brani intrisi di catartiche sonorità e atmosfere fumose Mr. Wob e i suoi The Canes non “dicono” ma mostrano, raccontandoci (non senza punti di sarcasmo) storie di vecchie auto, di pagliacci, di teschi e di divinità e mostrandoci tramite esse il corpo nudo e sgraziato di un mondo che non ha ancora saputo liberarsi delle sue piaghe più grandi: il razzismo e le ingiustizie sociali.
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