Fin da subito, a partire già dal titolo, il nuovo album di Nico Sambo pensa bene di dotarci della giusta chiave di lettura per decodificarne al meglio la mappatura lirica e concettuale, carica, appunto, di ambiguità testuali, giochi di parole, rovesciamenti prospettici, spunti allegorici e un funzionale citazionismo letterario a corredo (da DeLillo a Morandini, passando per Moresco e Pynchon).
Quello dell’artista toscano è un cantautorato elettrico, scaltro e colto al contempo, che sa lavorare di fino sulla manipolazione delle parole e delle immagini come a voler alterare ricordi personali e scampoli di vita vissuta attraverso immaginarie increspature d’acqua o repentini chiaroscuri, anche per merito di un contraltare rock-elettronico che sa il fatto suo quanto a mutevolezza umorale (vi basti l’ascolto fuori dallo spazio/tempo di Zootropio, a suo modo una seducente trasfigurazione lisergica dei Bluvertigo).
Ma è comunque tutto il disco nel suo complesso a volare alto per quel suo essere melodicamente impattante pur non dispensando veri e propri ritornelli o piacionerie a presa rapida: per merito della 6 corde in primis, che sa vivificare piccole gemme come Raccontami, È Che Le Piace Giocare, Passa Tutti I Giorni Di Qui (dove il buon Sambo si muove come una sorta di disimpegnato Paolo Benvegnù in overdose di chitarre) e quella Terrazza che rischia di essere il brano migliore del lotto con le sue spigolature battiatiane (il Battiato di Gommalacca, tanto per capirsi).
Un congedo tutto strumentale (Ensanada) va degnamente a sigillare, infine, in uno slancio di asciutta psichedelia, un micromondo sonoro fatto di sanguigno estro creativo, istrionica artigianalità e ponderata leggerezza.
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