Un progetto musicale ai limiti del krautrock, condito da titoli degni del Marinetti (Adhd add doc dop). Il futurismo, movimento dal quale sembra voler adottare l’attitudine caotica e rumorosa. Nel primo omonimo album della one man band genovese I mie resti la componente casuale, l’approccio quasi approssimativo, sembrano non inficiare il senso complessivo del lavoro. Un disco che procede coerente e spedito nonostante un bipolarismo sonoro ben evidente.
Rock elettronico cui elemento più sorprendente e la sintesi della formazione in un’unica persona, il risultato è molto simile agli (ormai compianti) Fratelli Calafuria rivisitati in chiave industrial. In alcune canzoni (“Autosabotaggio”, “Ciclope”), ho come l’impressione di avere a che fare con un Enrico Ruggeri black metal incazzato. Testi ai limiti del pretenzioso, a metà fra Battiato e i Litfiba, mi confondono le idee. I miei resti, ci è o ci fa? Sei canzoni che maturano una propria coerente poetica interna, nouvelle Domenico Bini, fortunatamente, un poco più serio.
Un progetto tanto sgangherato quando inaspettatamente funzionante.
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