Fin dal titolo l’opera prima di Ferikmon (alle spalle un passato da batterista in alcune band alternative rock) si pone come un’appassionata esortazione rivolta agli esseri umani, nell’auspicio di un loro affrancamento dal progresso sfrenato e dalla frenesia della quotidianità in nome di una riscoperta delle proprie passioni e aspirazioni.
Se lo slancio concettuale risulta dunque ammirevole altrettanto non si può dire, ahimè, per il companatico musicale, oltremodo anemico e confusionario nella sua miscela di cupo rock alternativo ed elettronica vintage a cavallo tra 70s e 80s (siamo dalle parti degli Ultravox) con qualche estemporanea posa progressive (“Wasteland” e “Shrouded In A Mist”). In totale dieci brevi brani (meno di tre minuti la durata media) che, a eccezione di “Memories part.1” e “Apologize”, piacevoli nell’affratellare atmosfericamente Carpenter e Bowie, non brillano particolarmente per impatto e dinamicità, ancora troppo acerbi nei cambi di passo, nello sviluppo delle melodie, nella gestione umorale di voce e tastiere e persino nel dosaggio dei suoni.
In chiusura disco, a penalizzare ulteriormente il quadro d’insieme, una discutibile rivisitazione synth-plastificata del Bolero di Ravel, giusto a metà strada tra il cazzeggio e il vilipendio.
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