Nuova sfida per Wrongonyou che passa dall'inglese all'italiano e scrive un disco Pop con la P maiuscola
Grandi cambiamenti in casa Zitelli aka Wrongonyou: il ragazzone che nella copertina del disco precedente veniva abbracciato da un orso immerso nella natura ha lasciato la campagna romana per stare in centro a Milano, città a cui ha decidato anche il titolo del suo secondo album, "Milano parla piano". Se non foste stati attenti, scrive e canta per la prima volta in italiano, abbandonando (per sempre?) l'inglese e il folk indipendente per abbracciare il pop di casa nostra, quello radiofonico e trasversale, che apre a un pubblico più ampio, in cui le parole non sono filtrate da un'altra lingua e arrivano subito dove devono arrivare.
Per questo processo delicato, Wrongonyou si è affidato ad autori e produttori tra i più stimati: Raina, Zibba, Dardust, Filippelli, Cogliati tra gli altri e non nascondiamoci dietro un dito: sulle prime fa un po' strano sentire autotune, basi e ritornelli a metà tra il melodico e il rap, ma già dopo un minuto ti trovi a cantare "Ora esco e vado a respirare", da "Atlante", che apre questo questo disco. Niente orsi, stavolta la faccia di Marco campeggia sopra un palazzo nel collage di copertina. "Milano parla piano" è un disco pop ma non it-pop, come quel filone di canzoni coi synth e di cantanti che si fingono Dalla o Carboni per il cash. Lui è un animale strano: canta bene da far paura, suona, scrive e arrangia, ha un orecchio che tende all'estero, nonostante applichi questa formula alla musica italiana e quello che ne esce fuori è una cosa nuova, di difficile collocazione.
Alcuni pezzi tipo la title track sembrano provenire dall'ipotetico canzoniere di Alex Britti prodotto da Justin Vernon e spesso si odono echi degli ultimi due lavori dei Bon Iver, i vocoder, gli inserti in loop, così come momenti più epici in stile Peter Gabriel anni '90 ("Calma calma" ne è un esempio). Una canzone come "Più di prima" basterebbe per fare di questo album il nostro disco della settimana, perché è un compendio perfetto di come fare del pop non banale, arrangiarlo con un sacco di suoni che diventano sempre di più ad ogni ascolto. Poi, ribadiamo, la voce di Marco è cosa rara e quella o ce l'hai o non ce l'hai. Se l'avete mai visto dal vivo sapete di cosa stiamo parlando.
"Ora" è un lentone che non sfigurerebbe nel nuovo disco di Tiziano Ferro, "Solo noi due" parla d'amore come gran parte di queste canzoni, ma è un amore veicolo di crescita personale, un romanzo popolare di formazione. "Siamo malati gravi di malinconia", canta in "Mi sbaglio da un po'", con quel ritornello un po' Disney un po' Zucchero che non si capisce come, sta in piedi perfettamente. "Perso ormai" potrebbe essere uno di quei singoli che entra in chart negli USA e ci rimane un anno. La grande sfida è proprio questa: funziona un disco molto americano cantato in italiano? Sembra proprio di sì e una volta superata la fase iniziale che potremmo riassumere in "Mi devo ancora ambientare, pensavo facesse folk" è tutta discesa, è tutto loop per imparare a memoria le canzoni e cantarle nel tour. Una nuova avventura che parte col piede giusto, con l'augurio di "Andare in bici senza mani e non cadere mai".
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La recensione Milano parla piano di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-10-21 11:18:00
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