Il viaggio immaginario sull’isola sperduta di Tristan Da Cunha tra post-rock, shoegaze, drone, ambient e suggestioni emozionali
L’isola vulcanica Tristan Da Cunha (il cui nome omaggia l’esploratore portoghese che l’ha scoperta) è un piccolissimo angolo di mondo sperduto in pieno Oceano Atlantico. L’unico centro abitato organizzato, che conta poco più di duecento anime (tra cui un paio di famiglie italiane insediatesi lì dalla fine dell’800) ha ben due chiese, una anglicana in onore di Sua Maestà Elizabeth II, dato che l’isola è un possedimento britannico, e l’altra cattolica. Quel che più affascina e forse un po’ spaventa è che il centro abitato più vicino a questo piccolo borgo dista più di 2000 km, ovviamente da ricoprire via mare, infatti per questa ragione Tristan Da Cunha detiene il guinness dei primati come isola più remota del mondo.
Immaginando di abitare in queste terre quasi completamente incontaminate, dal profilo bucolico ma dall’aria altrettanto minacciosa, con il vulcano che sovrasta oscuro la valle da un lato e l’oceano che sembra volerla divorare dall’altro, la musica dei Tristan Da Cunha di Francesco Vara (chitarra) e Luca Scotti (batteria) si offre come perfetta colonna sonora nonché come traduzione in note dell’atmosfera che si può respirare in un clima del genere.
Sin dal primo lavoro, “Soçobrar”, del 2017, il duo pavese ha cominciato a ricostruire allegoricamente l’immaginario dell’isola da cui hanno tratto il loro moniker, ricreandone alcuni aspetti tra trame emozionali e suggestioni sonore sperimentali e spesso legate all’improvvisazione. All’affascinante progetto, l’anno successivo si è aggiunto un secondo capitolo, intitolato “Praia”, che ha proseguito il cammino della band sullo stesso percorso. Dopo l’ep “A Voz Das Conchas”, pubblicato all’inizio di quest’anno, i Tristan Da Cunha sono subito tornati alla carica con questo quarto lavoro, “Onda do mar”, che aggiunge altri cinque pezzi all’immaginaria ricostruzione di Tristan Da Cunha in musica.
Con una tracklist dal minutaggio decrescente, che parte dai quasi nove minuti di “A Sea God, or Something Similar” fino ai poco più di tre minuti di “Outro”, questo disco utilizza pretesti post-rock per espandersi liberamente in ipnotici territori shoegaze, drone e ambient, costruendosi frase dopo frase con la passionale logica dell’ispirazione.
Sin dall’opening-track si accumula una tensione oscura e a suo modo spirituale tra la seicorde di Vara e le pelli di Scotti che con “Onda do mar” si gonfia come mare in tempesta fino ad esplodere con “Too deep for us”, vero nucleo centrale del disco. Il “sereno dopo la tempesta” giunge con le atmosfere inizialmente più pacate di “Birds of passage” ma in cui il sentore di qualcosa di tragico ed oscuro non è stato ancora spazzato via completamente, infatti il finale del brano esplode nuovamente in una bufera le cui nuvole grigie cominceranno a diradarsi solo nella malinconica “Outro” facendoci capire che su un’isola come Tristan Da Cunha (forse metafora dell’intero mondo) saremo sempre preda delle intemperie ma la distruzione è anche sinonimo di un nuovo inizio.
Un duo interessante e prolifico, da seguire nelle diverse declinazioni della sua creatività.
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La recensione Onda do Mar di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-11-05 11:54:00
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