È un pop complicato quello di Vincenzo Fasano. Complicato nell’accezione positiva del termine. Per varietà di sfumature, umori, intuizioni musicali e concetti portanti. “Acquapunk”, il suo terzo album, parte infatti da un’esortazione rivolta all’uomo di strada – affrancarsi dalle prevaricazioni della modernità per riappropriarsi della propria umanità nel rispetto di una natura salvifica (tema, questo, piuttosto gettonato nelle produzioni cantautoriali nostrane degli ultimi anni) – per poi svilupparla attraverso otto canzoni stilisticamente diverse ma legate dalla stessa non comune sensibilità.
Un’elettronica enfatica (ai confini del future pop) funge da collante atmosferico – anche immaginifico – di un ordito musicale che unisce diagonalmente pop, funk, disco, rock e cantautorato, a partire dalla stessa title track che accende le polveri con quel suo mix micidiale di stadium rock, sintetiche fluorescenze di scuola scandinava, sentori da sigla cartoon e posizioni ecologiste. A seguire una manciata di altre piccole gemme che non sono da meno in quel loro stemperare impegno e fervore lirico con ettolitri di intelligente radiofonia, tanto da risultare accattivanti persino nelle loro più intimiste e seriose trasfigurazioni (“Le Bare Bianche” e “Dall’alto”, quest’ultima impreziosita dal piano di Fabrizio Paterlini).
E se strada facendo (“Il Giorno Perfetto”, “Che Cosa C’è”) capita a tratti di riscontrare fin troppe aderenze con certo itpop a presa rapida, be', poco importa a fronte di un disco che tutto sommato sembra aver trovato la giusta alchimia tra profondità narrativa e piacioneria melodica.
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