Una cosa da dire subito, sui Lulù Elettrica: i riff rimangono maledettamente in testa per giorni. Questo è, secondo me, indice della presenza al loro interno di spore che faranno germogliare il “quid” che darà loro la spinta verso una maggiore visibilità. Meritata anche dal livello tecnico più che buono: la parte ritimica è ottimamente fusa e solida, potente. Brani con struttura ben definita e orecchiabili, senza fronzoli, costruiti artigianalmente - e bene - con il basic del rock (basso/chitarra /batteria), più qualche accenno di tastiera che peraltro sembra quasi una chitarra arpeggiata ("Mary esclusa"). Con una metafora culinaria si può dire che riescano ad imbandire un bel pranzo anche con alimenti semplici a disposizione.
C’è però ancora una certa indecisione nello stile, perché le eredità (inevitabili) di ascolto ci sono e spesso si prendono troppo spazio (vedi l’intro di "La pianura" con quei tom davvero troppo "Sonica", e il similmente marlenico incrocio di chitarre con successiva digressione verso l’attacco del testo). Le influenze sono una brutta bestia, perché diventano talmente parte di te che affluiscono nella composizione inconsapevolmente, e diventano una piccola zavorra che rallenta lo sviluppo del personale esprimersi.
L’impressione è che musicalmente siano in una fase di positiva transizione, in cui stanno scoprendo la loro vera "pelle" cercando di liberarsi di questo retaggio per evolvere in una fase piu’ matura, più loro. La voce dovrebbe rafforzarsi maggiormente, perché, pur funzionando molto bene in atmosfere “da camera” come "Spazio alle mie voglie" (che, per inciso, è anche il mio brano preferito: quasi una reminiscenza alla Cesare Basile), rende molto meno nei brani più "sporchi" perché manca di un po'della necessaria spinta/grinta: in questi casi risulta quasi bidimensionale (soprattutto nelle prime tracce, dove sembra addirittura sommersa dagli strumenti) e deve avvalersi troppo spesso della voce di supporto nei ritornelli, soluzione che secondo me provincializza (passatemi il termine) l’allure del gruppo, rievocandomi ricordi di tristi serate primi-anni-novanta in cui ascoltavo sedicenti band coverizzare brani dei Rats. Azzeccato, invece, il controcanto nella tesa "Intorno Ad Ogni cosa" (che ha anche una bellissima chitarrina metallico-stomp usata con gain bassissimo, in evidenza anche nell’intro di "Spazio alle mie voglie"). "Carillon" è un altro brano ben riuscito, caratterizzato da una struttura elegante dove la voce malinconicamente remota si adatta all’atmosfera autunnale del brano.
L'unico piccolo neo del lavoro é la metrica, che andrebbe fatta collimare meglio con la struttura melodica, perché a volte la rincorre in maniera “affannosa” rendendo poco comprensibile il testo (ad esempio in "Libera", il cui motivo però mi ha perseguitato in subliminale per giorni), in altre vi cozza contro ("La commedia del cuore infranto"), oppure ricerca la musicalità affidandosi ad assonanze e rime reiterate, che spesso sortiscono l' effetto di appesantire e, a volte, banalizzare testi interessanti. In conclusione direi che sfrondando, togliendo, puntando all’essenziale, evitando di prolungare troppo i brani in parti speculari, questi ragazzi hanno un nucleo bello e vitale, che nella dimensione live sicuramente rende mille volte meglio che su disco.
Spero davvero di risentirli al prossimo lavoro, abbandonati certi stilemi rock: se le spore (le loro spore, Marlene-free) di cui parlavo all’inizio attecchiranno, sono sicura che riserveranno belle sorprese.
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La recensione Venti rose porpora di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-09-19 00:00:00
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